Non sempre l’istituzione di una giornata mondiale è la soluzione ad un problema. Il 3 maggio ricorre la Giornata mondiale della libertà di stampa, una ricorrenza che dovrebbe spronare i governi a garantire il rispetto della libertà di espressione; tuttavia, il corso della storia dimostra come questo, purtroppo, non sempre sia accaduto. Non sono, infatti, pochi, i Paesi in cui la libertà di stampa è profondamente minata o, addirittura inesistente. Primo fra tutti, l’Afghanistan: qui, certi giornali indipendenti che denunciano la condizione delle donne sono sottoposti ad una vera e propria censura.
La progressiva perdita dei diritti delle donne afghane
Tutto ebbe inizio nell’agosto 2021, con la riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani i quali hanno progressivamente eliminato i diritti per le donne. A queste ultime non è concesso studiare dopo i dodici anni, passeggiare sole, guidare e mostrare il volto, che dovrà essere coperto dal burqa. Sono protagoniste di vite che non andrebbero mai vissute, piuttosto, meriterebbero di essere raccontate. Ma come dar voce a queste donne attraverso giornali che sono costantemente controllati da un governo fondamentalista? Nessun uomo oserebbe farlo, allora ci provano giornaliste e attiviste a cui non resta che raccogliere testimonianze nascoste per redigere articoli in segreto, magari lontane dalla propria terra poiché l’unico modo per poter raccontare ciò che avviene nel proprio Paese è fuggire da esso, da un arresto, da una tortura o, addirittura, da una morte certa.
Anno 2022: nasce l’agenzia di stampa Rukhshana Media
Zahra Joya
, giovane donna afghana nel 2022 riesce a scappare rifugiandosi a Londra; due anni prima fondò l’agenzia di stampa Rukhshana Media. Un nome, Rukhshana, intriso di sofferenza, accusata di adulterio, fu lapidata a morte nel 2015 nella provincia di Ghor. A quel nome, Joya ha voluto ridare dignità assicurandosi che non fosse dimenticato, per questa ragione, la coraggiosa giornalista, ancora oggi, denuncia le ingiustizie del regime talebano nei confronti delle sue concittadine.
Il prezzo da pagare per poterlo fare è rimanere nell’ombra, nascosta in una camera d’albergo londinese. Tuttavia, non è sola: ad accompagnarla in quest’arduo compito c’è una squadra di reporter attivi in Afghanistan che raccolgono in segreto informazioni inviandole a Joya. Così, Rukhshana Media racconta come, a causa della chiusura delle scuole secondarie, si sia registrato un aumento dei matrimoni precoci, nonché suicidi di giovani donne ed episodi di violenza nei confronti di quelle che si sono ribellate alla chiusura delle università di Kabul.
Anche la rivista Zan Times racconta la vita delle donne in Afghanistan
Nello stesso anno in cui Zahra Joya fondava la sua agenzia di stampa è nata anche Zan Times, rivista che si pone l’obiettivo di dare voce alle ragazze e alle donne rimaste in Afghanistan. A dar vita al progetto è Zahra Nader, giornalista freelance trasferitasi in Canada per conseguire un dottorato di ricerca prima che il suo Paese cadesse nelle mani dei Talebani.
Anche lei può contare su una piccola squadra di colleghe che, correndo ogni giorno il rischio di essere catturate e torturate, cercano sul posto informazioni da inviarle. A rendere pericoloso il loro lavoro sono soprattutto i temi affrontati dalla rivista, quali la comunità LGBTQ+, i diritti umani, la violenza domestica o i matrimoni infantili, argomenti di cui il governo certamente non vuole si parli.
La triste storia della radio distrutta dai Talebani
Una censura iniziata ben prima della riconquista talebana come testimonia la distruzione di Radio Roshan nel 2015. A dirigere l’emittente, il cui nome in italiano si traduceva come ‘Illuminata’, era Sediqa Sherzai, giornalista in trincea che sin da bambina lotta per i diritti femminili. E, fino al giorno in cui i talebani hanno fatto saltare in aria le sue apparecchiature e microfoni, lo ha fatto attraverso trasmissioni radiofoniche dedicate all’istruzione femminile.
Zan Tv: emittente televisiva delle donne
Non ha, invece, cessato di esistere in Afghanistan un’emittente televisiva che vede all’opera giovani laureate di Kabul. Sebbene lo staff di Zan tv, questo il nome del network, sia tutto al femminile, a fondarla è stato un uomo, Hamed Samar. E forse è questa la ragione che tiene in vita ancora oggi questa tv con un ricco palinsesto di programmi tutti volti a difendere le donne e i loro diritti in un paese in cui sono prossimi a svanire del tutto. Le speranze di una possibile salvezza sono, dunque, riposte nel lavoro di coraggiosi giornalisti, che nel lontano ‘700, qualcuno, – durante una seduta della Camera dei Comuni del Parlamento inglese – definì “Quarto Potere”. E si spera che quel potere possa rimanere vivo e libero.