La moda, tra le pieghe dell’arte, intercetta le istanze della contemporaneità diventandone espressione sublimata. Attraverso l’alternarsi delle stagioni, le passerelle si sono fatte portatrici di quel concetto che eleva la bellezza al di sopra degli ideali, grazie all’incontro con le urgenze e i sentimenti del presente, con l’intento ultimo di indurre ad una riflessione quanto più trasversale sullo stato attuale del pianeta e di chi lo abita. La bidimensionalità dei capi, dunque, raggiunge una nuova dimensione fisica nella capacità di intercettare la necessità di un dibattito, narrato con la chiave sinfonica degli stilemi del bello, che porta all’attenzione il tema della moda e il riscaldamento globale. Un binomio in cui il dramma del cambiamento si legge attraverso l’aspirazione a-stagionale dei capi nati dalle visioni dei designer contemporanei.
A ridosso dell’ultima settimana della moda milanese, quando il fervore e la curiosità guidano i pensieri e gli algoritmi, immersa nel vortice morboso dello scrolling infinito – che su TikTok è d’obbligo -, mi sono imbattuta in uno degli ormai noti fit check di un’influencer (definita mini del gerco tecnico di settore). La consuetudine del trasporto irrazionale mi avrebbe spinto a passare oltre, ma l’articolazione fugace di una frase mi ha spinto a sostare:
“Grazie a questo nuovo meteo, mettersi il cappotto a settembre è diventato un problema”
diceva indispettita dalla calura che, da qualche anno a questa parte, vede nel mese non più un preludio all’autunno-inverno, ma un prolungamento legittimo dell’estate.
Moda e riscaldamento globale
Un accostamento di parole, – solo in apparenza banale – ha spostato la mia attenzione dalla meraviglia di un capospalla firmato Prada – pezzo forte dell’analisi del look a prova di fashion show – per incagliarsi in una riflessione profonda sulle conseguenze del cambiamento climatico. Come non fosse sufficiente la sequela di tragedie che risuonano come drammatiche litanie nei telegiornali di fine giornata, di fronte all’affermazione dell’influencer – che riflette l’esperienza ormai quotidiana degli effetti del riscaldamento globale – è stato evidente come la manifestazione del problema e le sue dirette implicazioni passino anche attraverso il mondo della moda. Un rapporto ossimorico con il tema del riscaldamento globale, contribuendone notevolmente: si ritiene infatti che ogni anno l’industria della moda sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio e del 20% dell’inquinamento dell’acqua potabile.
Come cambiano le collezioni delle maison
Nelle ultime settimane, a chiunque è capitato di dover far fronte a temperature del tutto eccezionali rispetto alla norma: se in apparenza l’autunno sembrava arrivato con anomala precisione, costringendo un repentino cambio armadio virando verso trench e stivali da pioggia, a pochi giorni di distanza un sole primaverile ha fatto ritorno sulla scena, costringendo una rapida rivalutazione e ridiscussione dei look. Tuttavia non si tratta solo dei classici dilemmi da mezza stagione, bensì la prova tangibile di un declassamento totale delle stagioni, che ormai non possono più contare sull’alternarsi ciclico di equinozi e solstizi. Pertanto, l’imprevedibilità delle temperature danno evidente riscontro di come il cambiamento climatico abbia una ricaduta diretta sulla composizione dei propri guardaroba, costringendo dunque a una presa di coscienza che inizia proprio dalle passerelle.
Di fatto, prima che il tema moda e riscaldamento globale arrivasse all’attenzione del più ampio pubblico – il quale ha fatto esperienza diretta della necessità di un layering sempre più arguto per far fronte ai repentini cambi di temperatura -, le avvisaglie di una tensione verso una a-stagionalità dei capi era già intercettabile nelle passerelle. Guardando alle collezioni presentate negli ultimi quattro anni, è possibile infatti notare un cambiamento radicale di rotta: in virtù dell’innalzamento globale delle temperature – che ha avuto come diretta conseguenza l’annientamento delle distinzioni rigide tra le stagioni -, le grandi maison hanno iniziato una lenta (ma palpabile) virata verso capi versatili che possano sottrarsi al rigido dettame dell’alternarsi delle stagioni.
L’a-stagionalità dei capi
Da Loewe a Stella McCartney, le collezioni autunno-inverno 2024-2025 si sono arricchite di abiti smanicati e completi corti in cotone di seta; al contrario nei defilé della primavera, i brand hanno previsto anche faux fur e maglioni di lana fine, prima prerogativa dei soli guardaroba invernali. La contaminazione di capi nelle collezioni, pertanto, ha reso evidente la criticità stessa del concetto di stagione, ormai giunto a una quasi totale assenza di significato a causa dell’annientamento dei confini.
Pertanto i primi segnali di una tendenza anti-stagionale dei capi inducono a ipotizzare – soprattutto considerando l’evoluzione drammatica delle temperature e dei disastri naturali ad essa connessi – che tale sentiero sia destinato a consolidarsi nel tempo, delineando un guardaroba sempre più variegato e versatile. Inoltre, al fianco di una presa di consapevolezza che influisce sugli stilemi estetici, è da rintracciare uno sforzo di aziende della moda, come Stella McCartney, Marco Rambaldi e Acne Studios (solo per citarne alcuni), di ridurre l’impatto ambientale prediligendo materiali e processi più sostenibili. Tuttavia se l’idea di una a-stagionalità dei capi potrebbe preludere a un declino del fast fashion, l’investimento da parte della moda in direzione della sostenibilità risulta ancora insufficiente, tanto da indurre a un’ulteriore riflessione sul contributo del pubblico alla causa.