La spinta innovatrice che permette al futuro di sostituire le granitiche convinzioni del passato. Un dialogo sull’identità che diventa espediente ultimo per una riflessione sul proprio sé. In ogni evoluzione e passo verso il miglioramento si instilla il germe essenziale del cambiamento. Esso diventa, per la società, l’essenza stessa del movimento che permette di ampliare gli orizzonti e e abbattere ogni limite, in una corsa perpetua verso la libertà. A muovere il cambiamento è anche la moda, con la propria anima sovversiva che conduce il pubblico a preferire la coerenza all’oscurantismo della tradizione, l’espressione libera alla scelta obbligata, la gonna uomo al pantalone d’ordinanza.
La storia della moda ha più volte dimostrato come la contaminazione sia l’innesto generatore dell’arte, come espressione del sé autentico che si libera del pesante fardello dell’agire comune. Non per andare controcorrente, ma per comunicare le sfumature fluide della propria anima. Così come alla fine dell’Ottocento Amelia Bloomer ha reso i pantaloni adatti anche alle signore e, negli anni Venti Coco Chanel ha rubato il tweed dal guardaroba maschile dimostrando la vanità delle rigorose etichette, oggi la moda uomo si libera delle convenzioni per fare spazio a capi spogliati di ogni pregiudizio, come gonne e corsetti, che attingono dall’armadio femminile ed elevano il prezioso dibattito sull’identità, rendendo la moda più di semplice estetica, ma uno strumento di cambiamento sociale.
Gonna uomo simbolo della moda senza etichette
Negli ultimi anni, in cui il dibattito sulle etichette e l’urgenza di una maggiore libertà di espressione è divenuto centrale, la moda ha saputo farsi portatrice silenziosa ma dirompente della causa, portando in passerella capi che rompessero con la tradizione esplorando le peculiarità del genderless, con libertà creativa e grande rispetto.
Di fatto negli ultimi tempi le maison dell’alta moda e le star internazionali hanno contribuito non solo sposando la causa per la libertà di espressione, ma anche sfoggiando in occasioni di grande richiamo pubblico la gonna, nel tentativo di sdoganare l’obsoleta usanza per cui il capo d’abbigliamento è da considerarsi prettamente femminile. Star come Jared Leto, Harry Style e Brad Pitt – che si è presentato alla première di Bullet Train a Berlino con completo giacca e gonna di lino – hanno attinto al grande sapere del passato per dare al pubblico una lezione di pensiero moderno, rompendo uno dei tabù più radicati di sempre.
Il look con la gonna del calciatore Jules Koundé
La vera rivoluzione è giunta anche dal mondo del calcio, uno dei pilastri del machismo. Da sempre fedele al proprio stile e lontano da ogni cliché Jules Koundé, difensore del Barcellona e della nazionale francese classe 1998, al suo ritorno a Clairefontaine ha scelto di indossare una gonna nera di Simone Rocha, abbinata a un tank top strappato e a stivali di pelle. Non era la prima volta che la giovane promessa del calcio mondiale si ergeva a icona della moda genderless: solo pochi mesi fa, Koundé aveva sfoggiato un look in stile preppy dall’animo casual con jeans, camicia bianca, cravatta arancione e bomber di pelle nera, abbinati ad un paio di stivali con tacco di pochi centimetri, che aveva suscitato grande clamore negli ambienti conservativi del calcio.
Lo stile e la resilienza del giovane difensore dimostra come la moda costituisca uno strumento fondamentale per il racconto libero di sé, senza ricorso alle ormai obsolete orazioni. Tuttavia considerare il concetto di fluidità come una conquista figlia della contemporaneità potrebbe trarre in errore, in quanto si tratta più di un ritorno al passato che di una concreta novità. Di fatto, dietro secoli di regressione sociale e culturale che, partendo dal Medioevo, hanno condotto alla definizione di netti confini tra femminile e maschile, la storia dell’antica Roma ci restituisce un ritratto di moda gender fluid ante litteram, in cui uomini e donne indossavano le medesime tuniche lunghe. Le stesse che oggi, in grande tendenza, diventano simbolo, insieme a gonne, scarpe con il tacco e corsetti, di una battaglia contro l’abbattimento dei confine tra i generi.
La storia della gonna maschile
Il patrimonio inesauribile della storia rende possibile una preziosa visione in prospettiva, in grado di comprendere nel profondo i cambiamenti che hanno interessato – e interessano tutt’oggi – la nostra società. Principalmente, la memoria permette di riconsiderare il termine “rivoluzione” associato ad alcuni cambi di rotta i quali, però dando uno sguardo retrospettivo, risultano solo dei ritorni e non delle creazione del presente. Come accade per la gonna, che oggi è rientrata (e non entrata) nel guardaroba maschile, di cui faceva già parte nelle epoche più lontane. Infatti nell’Antico Egitto, i dignitari del Faraone erano soliti indossare lo shendyt o skentis, una gonna riccamente decorata e lunga fino alle caviglie, che li differenziava dai civili che indossavano la classica gonna a teli sfalsati legata sotto l’ombelico.
Per diventare poi, nell’Antica Grecia, un abito tradizionale:
tutti gli uomini all’epoca indossavano il chitón (chitone), le cui differenti lunghezze non rappresentavano una distinzione di genere, bensì di utilizzo. Ad esempio atleti, soldati e schiavi erano soliti preferire per modelli al ginocchio, al fine di facilitare i movimenti; mentre il peplo, il telo di stoffa rettangolare stretto intorno alla vita e completato da un mantello sovrastante, era indossato indistintamente da uomini e donne di rango superiore. Pertanto la gonna, nel corso di tutta l’antichità, ha rappresentato un capo democratico, non solo al di sopra delle distinzioni di ceto sociale ma soprattutto di genere.
Un’istanza che ha subìto il proprio arresto durante il Medioevo, un periodo in cui la società ha iniziato a stratificarsi, a distribuire i propri compiti e, dunque, i doveri tra uomo e donna. Inoltre, con l’affermazione dell’epoca dei lumi e la Rivoluzione industriale, si verificò quella che lo psicologo e psicanalista britannico John Flügel identificò come la Great Masculine Renunciation: l’uomo abbandonò la pretesa di bellezza estetica in virtù della mera praticità, rinunciano alle esose gonne e preferendo austeri pantaloni, rigorosamente scuri, e capi sobri. Fu allora che il monopolio della gonna passò alla donna. Tale rigorosa distinzione si è radicata nel tempo, facendo strame di qualsiasi innovazione, fino agli anni Sessanta, quando personalità come David Bowie hanno riaperto uno spiraglio per la riflessione sulla moda gender fluid.
Le gonne maschili della tradizione: sarong, djellaba e kilt
A partire dal 1985, quando Jean Paul Gautier alla presentazione della collezione Primavera Estate Et Dieu Créa l’Homme (E Dio creò l’uomo), fece sfilare uomini con la gonna, donne con cappelli da baseball ed entrambi con vestiti oversize, le istante di contaminazione guidarono la moda genderless fino a oggi. Tuttavia se il ritorno della gonna è frutto di istanze di innovazione che auspicano una società priva di etichette, essa rappresenta una costante unisex per alcune culture.
Difatti, in alcune culture dei paesi orientali, le gonne fanno parte dell’abbigliamento maschile e in alcuni casi costituiscono anche abiti religiosi, come il sarong in Sud Asia o la djellaba in Medio Oriente e Nord Africa. Tuttavia in Europa, la gonna per gran parte della storia è rimasta privilegio esclusivo del guardaroba femminile – fatta eccezione per il kilt scozzese, simbolo di una tradizione millenaria – e ancora oggi subisce grande resistenza da parte della società.
Gonna uomo, una scelta ancora difficile da accettare
Nonostante le grandi maison, come Prada, Alessandro Michele per Gucci, Thom Browne, abbiano portato in passerella una nuova idea di moda, più fluida e libera da ogni obsoleta restrizione di genere introducendo skirt e mini-skirts nelle collezioni maschili, la gonna uomo è ancora una scelta di stile difficile da accettare per la gran parte della categoria. La causa principale è da indagarsi nella profondità delle radici culturali che identificano la gonna come un capo esclusivamente femminile, dunque andare contro un vero e proprio stigma sociale risulta complesso, soprattutto in piccole realtà. Inoltre l’idea machista – con lo stereotipo di uomo forte e risoluto, esaltato anche da una certa categoria politica, che si riflette anche nel modo di vestire – rappresenta ancora un pilastro difficile da scalfire.
Dunque per minare a tali convinzioni e aprire le porte dei guardaroba maschili alle gonne, è necessaria e auspicabile una vera e propria re-interpretazione totale nel concetto stesso di mascolinità. Tuttavia, così come per ogni cambiamento che va a minare le granitiche convinzioni sociali, è necessario un lungo periodo di assestamento. Un lasso di tempo in cui le istanze d’innovazione si scontrano apertamente con il conservatorismo della tradizione, in una battaglia senza esclusione di colpi che condurrà a delineare il ritratto di una società più aperta e inclusiva. In cui indossare le gonne per l’uomo, sarà come per le donne sfoggiare i pantaloni: il ricordo di una rivoluzione divenuta quotidianità.