Un cambiamento di rotta necessario, ma che incontra l’ostacolo della memoria breve. Abituati alla corsa frenetica alla mode e assuefatti da temi che, solo per poco, monopolizzano la conversazione, la tendenza dominante prevede di passare velocemente oltre, dimenticando i valori appresi da un sano dibattito. Il medesimo destino riservato al tema della Body Positivity sfilate di moda.
Dopo essere stato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica negli ultimi anni – complici le profonde critiche mosse per i corpi magri che popolavano le passerelle delle grandi maison –, la narrazione contemporanea sulla Body Positivity ha spinto molte aziende del settore dell’alta moda a rivedere gli standard di bellezza promossi in passato sulle rispettive passerelle, spingendoli ad ampliare la loro visione in maniera più inclusiva, introducendo modelle di diverse taglie, etnie, età ed identità. Di fatto, è stato evidente che corpi cisgender – prevalentemente bianchi – e caratterizzati da una magrezza estrema non intercettavano più il consumatore, il quale al contrario sentiva l’esigenza di sentirsi rappresentato in maniera più autentica dai marchi di moda nei quali decide di riporre il proprio interesse. Una consapevolezza che ha contribuito a riscrivere le esigenze dell’intero settore, ma solo in apparenza.
Body positivity sfilate di moda della primavera-estate 2025
Se per anni il tema della Body Positivity è stato al centro del dibattito – dando accesso alle passerelle anche a corpi diversificati -, la recenti Fashion Week hanno palesato il lato oscuro della questione: le sfilate primavera-estate 2025 si sono infatti dimenticate quasi totalmente del tema dell’inclusività. Nonostante le battaglie di sensibilizzazione fatte per ampliare lo spettro di rappresentazione dei corpi – soprattutto nel settore dell’alta moda – le sfilate di settembre hanno riportato in passerella i consueti stereotipi di bellezza femminile, dando prova tangibile che molte aziende non hanno mai sposato fino in fondo i valori dell’inclusività – reclusi all’oblio nel momento in cui il dibattito si è spostato su altri temi -.
Body inclusion e age-diversity
Se ad oggi tale è la tendenza più diffusa, nella cornice della Milano Fashion Week si sono verificate alcune eccezioni: Marco Rambaldi, da sempre fedele ai valori, ha portato in passerella corporeità e identità variegate, dando prova stagione dopo stagione delle incredibili potenzialità della narrazione sulla bellezza femminile; così come Sunnei che ha scelto donne âgée come modelle, ridonando centralità al tema dell’age-diversity. Due esempi che tratteggiano uno scenario deludente – considerando il cospicuo numero di brand che hanno sfilato nel capoluogo lombardo – e che evidenziano la necessità di riportare il tema alla sua centralità, riflettendo soprattutto sul tema dell’autenticità.
Un dibattito che sintetizza le proprie potenzialità e contraddizioni nel recente ritorno del Victoria’s Secret Fashion Show. Dopo essere stato oggetto di aspre critiche a causa dell’omologazione estetica pericolosa promossa della modelle in passerella, l’azienda di lingerie in questi ultimi anni ha ripensato non solo il proprio posizionamento sul mercato, ma soprattutto i valori fondati del brand spostando il focus su un’idea sempre più inclusiva. Nel corso dello show, al fianco degli angeli più celebri – Adriana Lima, Alessandra Ambrosio, e Tyra Banks – hanno sfilato anche le modelle curvy Paloma Elsesser e Ashley Graham, le prime modelle trans Valentina Sampaio e Alex Consani.
Il rebranding di Victoria’s Secret
Con il ritorno del celebre Fashion Show – che nonostante la nuova immagina ha suscitato ancora critiche -, Victoria’s Secret ha dato prova dell’operazione di rebranding che il marchio ha compiuto negli ultimi anni, in cui la consapevolezza del consumatore – sempre più attento alla comunicazione e al patrimonio valoriale scelti dalle grandi maison – ha reso necessario un ripensamento del posizionamento. Tuttavia la discussione nata intorno al Victoria’s Secret Fashion Show 2025 ha aperto anche a una più profonda riflessione sul confine sempre più labile tra la Body Positivity – declinata in ogni sua forma, dalla size inclusion alla age-diversity – intesa come valore fondante dell’immagine del brand, che intende contribuire a un cambiamento concreto, e lo sfruttamento strumentali di tali temi – in ottica di “inclusivity-washing” – al solo scopo di assecondare il dibattito.
Pertanto, agli occhi di un consumatore sempre più attento e consapevole è evidente che non sia più sufficiente relegare il tema della Body Inclusion a una semplice tendenza di stagione, bensì è necessario – e urgente – ridonare centralità alla questione, al fine di farsi promotori di un cambiamento concreto (e non solo stagionale). In tali termini, il seme del cambiamento risiede nelle mani dei consumatori, i quali hanno il potere di prendere le distanze da brand che sfruttano temi sociali per un ritorno concreto, preferendo invece quelli che ne fanno un valore costituente.