La size inclusivity ha abbandonato le sfilate: questo è l’amaro bilancio per la body positivity che si potrebbe trarre in seguito alla conclusione del fashion month di febbraio. Rispetto a settembre dello scorso anno, il numero di outfit inclusivi è diminuito drasticamente. Un’analisi condotta lascia poco spazio ai dubbi: a New York, storico palcoscenico di celebrazione della diversità, i look curvy, in totale 42 (in netto calo rispetto ai 70 del 2023). La fashion week londinese conferma il suo primato nell’inclusività schierando 67 modelle size inclusivity, comunque in leggero declino rispetto al record di 85 dell’anno scorso. A Milano addirittura solo 13 outfit inclusivi su 3200, ossia meno dell’1%. Solo Parigi fa segnare un timido rialzo: da 28 a 39 modelle curvy in passerella.
La body positivity non è più di moda?
Se è facile misurare l’entità di questo “ritorno allo standard” facendo parlare i numeri, sembra molto più difficile individuarne correttamente le cause. Qualcuno punta il dito contro l’influsso di direttori creativi di sesso maschile (come Adrian Appiolaza per Moschino e Seán McGirr per Alexander McQueen), meno sensibili alle tematiche della rappresentazione femminile e rei di essere ancorati ad una concezione della bellezza più tradizionale. Altri mettono in evidenza ragioni pratiche: in genere, le maison realizzano raramente campionari plus size, penalizzando dunque queste categorie di peso ai casting. C’è poi chi mette in evidenza come i corpi non-conformi siano più difficili da vestire con abiti invernali, specialmente rispetto alla notevole versatilità dei look primaverili.
L’aspetto fondamentale, tuttavia, sembra essere la rappresentazione di forme curvy non sistematica per le grandi case di moda. L’elevata rappresentanza plus size a New York nel settembre 2023 era, ad esempio, una risposta diretta al turbine mediatico causato dal sorgere dell’hashtag “Skinny is back”. Esaurita la polemica, anche l’interesse verso la categoria è calato. Lo scorso autunno, a Milano, ben 30 delle 45 modelle curvy presenti erano state presentate dalla stilista Karoline Vitto, protégé di Dolce&Gabbana la cui ricerca fu fortemente focalizzata sui corpi femminili non conformi. Al di fuori delle oscillazioni dei media e la sensibilità di singoli designer, sembra che la maggior parte delle maison si limiti a fare sfilare una singola modella “di rappresentanza” (secondo la tipica strategia del tokenism), lasciando il resto alle taglie “regolari”.
Le modelle size inclusivity tra tokenism e divizzazione
Un aspetto positivo in mezzo a questo generale clima di stallo è rappresentato dal fatto che, – complici anche i numeri ridotti -, le modelle curvy più note stiano ottenendo celebrità anche al di fuori della nicchia moda. Personalità come Ashley Graham e Paloma Elsesser sembrano possedere il carisma necessario non solo per animare la fantasia e la vision degli stilisti, ma anche per emergere come icone nella cultura di massa, nonché portatrici di potenti istanze di rinnovamento sociale ed estetico.
Tuttavia, questa tendenza implica profonde criticità: innanzitutto, ulteriori difficoltà per le modelle emergenti, che faticano a generare lo stesso interesse dei grandi nomi. A Milano, Ashley Graham ha presenziato come ospite d’onore a numerosi eventi, – ma senza sfilare -, a ulteriore conferma del fatto che per molte case di moda la simpatia per il curvy si limiti alla rappresentanza.
Gli stilisti coraggiosi portano avanti la body positivity
Nonostante tutto, visioni originali e innovative sui corpi non-conformi hanno avuto modo di esprimersi nel febbraio milanese. Affidandosi allo scouting originale della casting director Emma Matell, la maison Rave Review ha presentato una inedita rilettura dell’estetica delle subculture senza limiti di taglia. Il lavoro più poetico, tuttavia, è forse quello della stilista etiope Feben (ancora una volta, proposta emergente di Dolce&Gabbana), le cui silhouette fantasiose e colorate, dal marcato gusto illusionistico, hanno valorizzato fortemente la sensualità delle forme generose di svariate modelle plus size. A livello globale, l’operazione più radicale è stata invece compiuta a Londra da Sinead O’Dwyer, che non solo ha dato ampia rappresentanza alla categoria curvy, ma ha anche portato sulla passerella modelle in carrozzina, accompagnando alla sfilata una descrizione audio per non udenti.
In un Paese in cui le taglie più vendute per il pubblico femminile sono la 44 e la 46, il ritorno all’estetica skinny indica una pericolosa dissociazione tra la proposta dell’alta moda e i desideri dei consumatori. Desideri che, evidentemente, non sono stati recepiti dalla maggioranza degli stilisti, troppo ancorati al fisico femminile “classico”. Com’è possibile colmare questa lacuna, venendo incontro alle aspettative di milioni di persone e dando alla body positivity il rilievo che le spetta?
Forse, anziché puntare alle grandi fashion week (cronicamente affette dal morbo del tokenism), i corpi non-conformi meriterebbero eventi mirati, in cui stilisti autenticamente innamorati delle loro particolarità siano in grado di valorizzare opportunamente queste forme con un occhio di riguardo per il mondo del plus size maschile, puntualmente messo in secondo piano tanto nelle collezioni delle maison quanto nelle battaglie sociali vere e proprie: un mondo certamente non meno ricco di possibilità espressive ed estetiche.