Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo usava dire il Mahatma Gandhi. Tempo per prendersi cura di se stessi, per gli affetti familiari, per un percorso di crescita personale o, semplicemente, per non fare niente e lasciare che il tempo scorra. Uno bravissimo a sfruttare tutto il tempo a propria disposizione era Silvio Berlusconi che ammetteva: «In una giornata, io lavoro 27 ore». Non tutte le ore però sono uguali e infatti il regista Dino Risi obiettava: «Ci sono ore lente e ore che corrono veloci» e anche lo scrittore Dino Basili pare essere più o meno dello stesso avviso quando disse: «Del tempo una cosa è importante: in certi giorni si può vivere ventotto ore, in altri la metà». Un altro scrittore statunitense, Don DeLillo, pensava: «Gli orologi hanno accelerato l’ascesa del capitalismo. La gente ha smesso di pensare all’eternità. Ha cominciato a concentrarsi sulle ore, ore misurabili, ore lavorative, e a usare il lavoro in modo più efficiente». E certamente una che stava con l’orologio in mano cercando di capitalizzare il proprio lavoro era senz’altro Ruth Belville, la cui singolare storia ruota tutta attorno al tempo.
The Greenwich Time Lady
Nota come l’ultima donna che vendette il tempo o la donna dell’ora Greenwich, Ruth era un’imprenditrice londinese che aveva ereditato il mestiere dai genitori. Lavoro alquanto atipico, quello di sincronizzarsi all’orologio del Royal Observatory di Greenwich e di vendere l’ora esatta. A metà dell’Ottocento non esisteva infatti l’ora digitale, non c’erano cellulari o computer sincronizzati automaticamente col segnale GPS inviato dagli orologi atomici, e ancora prima dell’avvento dei satelliti e della misurazione del tempo con gli atomi ci si affidava ad un servizio telefonico a pagamento in cui una voce registrata scandiva in tempo reale minuti e secondi. Quindi, a pensarci ora, in quale modo antidiluviano si procedeva a regolare l’orologio a cipolla o la pendola in soggiorno, fino a un secolo e mezzo fa?
Novant’anni a inseguire il tempo esatto
Cominciò il padre di Ruth Belville, John Henry Belville, a creare un servizio di vendita dell’ora esatta, nel 1836. Ogni mattina John Henry andava all’Osservatorio di Greenwich, dove lavorava, e aggiustava il suo orologio sul Tempo Medio di Greenwich. Ripartiva poi sulla sua carrozza e correggeva il tempo degli orologi dei suoi clienti abbonati al servizio basandosi sul proprio orologio. John Henry mantenne quest’attività fino alla sua morte nel 1856. Deceduto, fu concesso alla moglie di continuare a fornire il servizio fino al suo ritiro nel 1892, quando aveva ormai superato l’ottantesimo compleanno.
A questo punto prese le redini dell’attività di famiglia la figlia Ruth Belville, la quale continuò a fornire il servizio fino al 1940, quando la Seconda Guerra Mondiale era ormai cominciata. Belville si ritirò ormai ottantenne ma in gran forma e ancora attivissima, tanto da sostenere il tragitto di dodici miglia da casa sua per raggiungere l’Osservatorio alle nove del mattino, fino a 86 anni suonati. Morì all’età di novant’anni portando con sé la leggendaria professione di venditrice del tempo nella memorabile Londra edoardiana.
L’orologio che per cent’anni ha tichettato a precisione
In tutta la carriera, Ruth aveva continuato a usare quell’orologio Arnold privo della cassa in oro lasciatole dal padre, che manteneva ancora l’ora esatta e che oggi, ancora ticchettante, è conservato come una preziosa reliquia dalla Worshipful Company of Clockmakers, il museo di orologi più importante del mondo, custode della più antica collezione di orologi da polso al mondo, tra cui l’orologio da mare H5 di John Harrison, un tempo testato personalmente da Re Giorgio III. Fedele al motto “Tempus Rerum Imperator” , ovvero “Il tempo, signore di tutte le cose” il museo persegue obiettivi caritatevoli ed educativi, promuove e preserva l’orologeria, dal 2019 nella Lista Rossa dell’HCA dei mestieri in via di estinzione.