Gabriella Compagnone, classe 1990, è già stata definita la più famosa sand artist italiana. Bella, solare, dotata di una simpatia contagiosa e di una profondità di pensiero e di espressione rari, oggi in esclusiva per Life&People si racconta. Per chi ancora non avesse avuto il piacere di assistere ad uno spettacolo di Sand Art, deve sapere che è una tecnica cinematografica d’animazione. E’ una forma d’arte che crea, attraverso luci e ombre, narrazioni in continuo divenire. Consiste nel creare immagini, modellando con le dita e i palmi delle mani, la sabbia su di un piano luminoso, un linguaggio visivo che trascende le barriere linguistiche. Un viaggio suggestivo, accompagnato da note musicali che ne scandiscono il tempo, un po’ come la vita.

Come in tutte le forme d’arte, tecnica e capacità non bastano, ci vuole “quel non so che” in più che rende speciali.

Gabriella Compagnone sand artist , debutta con grandissimo successo, nel 2009 grazie alla partecipazione a “Italian’s Got Talents” di Canale 5. Da quell’evento in poi riceve richieste da tutta Italia e dall’Europa e ottiene numerose apparizioni televisive in programmi come “C’è posta per te”, “Domenica in”, “Amici di Maria De Filippi”, “Pomeriggio 5”, “Glam”, “A sua immagine”, “Zecchino d’Oro”, “Telethon” per due anni con Fabrizio Frizzi e collabora per l’associazione Veronesi.

“Per i greci, l’artista era colui che riusciva a farsi mezzo, il mezzo attraverso il quale la verità veniva rivelata agli spettatori. Trovo molto nobile questo tipo di visione perché in qualche modo spersonalizza l’artista, che è tanto più bravo quanto più riesce a mettere da parte l’ego e al centro l’arte e la verità”. (Gabriella Compagnone)

Ora che fa parte della tua vita la sensazione della sabbia tra le dita, che percezioni e emozioni ti da?

La sabbia è il mio preziosissimo partner. Quando vado a lavorare me la porto da casa, le sono affezionata come un musicista al suo strumento. Mi piace anche simbolicamente: è un insieme indefinito di elementi, indica una pluralità e proprio come in uno stormo di uccelli, i granelli riescono a prendere un’unica forma sempre diversa che lascia incantati. Per questo preferisco il termine Sand animation a Sand art, mi da l’idea che si dia anima a qualcosa che altrimenti rimarrebbe spento. Quindi, per risponderti, non posso che considerare la sabbia mia complice, anche se siamo stese a prendere il sole.

Dove prendi l’ispirazione per le tue storie? Come nascono?

Se è un progetto su commissione, quindi ho già un tema da sviluppare, lavoro sul contenuto, assicurandomi che il messaggio arrivi chiaramente poi, in funzione di questo, definisco lo stile e la scelta musicale. Se invece è un progetto originale mi faccio ispirare dalla musica, lavorando comunque sui contenuti, ma le suggestioni visive nascono quelle uditive e non viceversa.

Gabriella Compagnone sand artist Life&People Magazine LifeandPeople.it

Quanto lavoro c’è dietro ogni spettacolo che fai?

Più di quanto si possa immaginare. Il tempo tecnico passato a provare un disegno o una sequenza di scene può essere molto ma è comunque il meno. La parte creativa in cui rifletti su cosa fare e come farlo, non è quantificabile perché non gli dedichi un tempo specifico come si fa con un’azione. Sono pensieri che ti porti a letto e con cui ti svegli la mattina, dei rebus che ti tengono la mente impegnata finché non trovi la soluzione, quindi finché non generi l’idea giusta, quella che traduca e trasmetta le tue intenzioni nel miglior modo possibile.

Tutto può essere raccontato?

Ancora non lo so. Ti direi che ci sono cose che non possono essere raccontate, poi ti direi che forse ci sono cose che io non sono in grado di raccontare. Non ancora. Quindi forse la risposta potrebbe essere che tutto può essere raccontato, se trovi il giusto modo di farlo.

Sei un’artista visiva, ma di fatto sei una performer, quali di queste due definizioni ti calza di più?

Mi sento decisamente più performer. La performance ti mette in una condizione di necessità più evidente. Quando lavoro ad un quadro (con o senza sabbia) rispondo comunque ad un’esigenza, ma è solo mia, quindi ci lavoro come e quando mi sento di farlo finché non avrò elaborato il frutto di questo bisogno. Poi il quadro può essere esposto, venduto o buttato, può essere goduto o meno dagli altri. 

Nella performance, questo tipo di lavoro c’è dietro ma poi lo metti in scena, quindi l’esigenza non è più solo esprimere qualcosa ma anche comunicarlo al pubblico, che a sua volta è lì per rispondere all’esigenza di essere stimolato. In entrambi i casi c’è il rapporto tra l’artista e lo spettatore ma nel caso della performance è molto più diretto e immediato, quindi più emozionante, ti metti in gioco senza filtri e ti prendi quello che viene. C’è un rischio molto più alto e quindi, a mio avviso, una soddisfazione maggiore.

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Cosa è per te la suggestione?

La suggestione è tutto. È il meccanismo su cui poggia l’arte, il percorso per cui da spettatore cominci ad immedesimarti partecipando, se pur indirettamente, allo spettacolo di qualunque natura esso sia, ed infine suggestionarti al punto di confonderti con esso, solo così puoi portartelo a casa, farlo diventare una tua esperienza. Questo è lo scopo dell’arte secondo me.

Nel rapporto con il pubblico che valore ha la sorpresa?

Il pubblico è sempre molto sorpreso di cosa si possa fare con la sabbia, di come un disegno si sveli solo alla fine o di come si trasformi nella scena successiva, ma in nessuno di questi casi lo scopo è mai stato stupire, lo scopo è stato sempre e solo comunicare. Mi sono fatta l’idea che la sorpresa sia una conseguenza, dovuta forse più alle aspettative dello spettatore che forse è abituato ad essere assecondato e tende quindi ad anticipare quello che lo aspetta. Se invece di seguirlo, facendo ciò che pensi gli piaccia, lo prendi per mano e lo porti altrove, dove vuoi tu, lo prendi alla sprovvista generando lo stupore di cui sopra.

Che rapporto hai con il tempo?

Spero il rapporto giusto! Il tempo è certamente il bene più prezioso se vissuto bene. Prendo in prestito una frase del Dalai Lama secondo il quale: “Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente, uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente vivere”. Io condivido pienamente e cerco di viverlo così il tempo, liberamente nei limiti concessi. Un vivere alla giornata in senso profondo e allo stesso modo vivo le performance, studio tutto quello che posso studiare, poi vado in scena e so che l’imprevisto è dietro l’angolo e qualora si presentasse devo essere pronta a reagire a andare avanti.

Il tempo che nelle tue performance è narrazione ma anche scorrere incessante, lo surfi come un’onda o ti incalza?

Il tempo è fondamentale in tutto. Nella musica ad esempio tempo e ritmo sono il fulcro, nel teatro o nel cinema lo sono i tempi delle battute, nella poesia lo è la metrica che fondamentalmente serve a dare un ritmo. E’ fondamentale in cucina quando il minuto in meno non cuoce e quello di troppo indurisce, lo è nelle relazioni quando decidi di dire la cosa giusta ma nel momento sbagliato o quando la persona giusta arriva nel momento sbagliato, insomma è SEMPRE questione di beccare i tempi giusti. Per questo nel mio lavoro la musica ha un ruolo centrale, scandisce i tempi della performance e il disegno si compone sulle note, per cui ogni gesto acquista un valore aggiunto.

Sono più importanti le tappe della narrazione o il processo di metamorfosi?

Premesso che le tappe sono importantissime, per me la metamorfosi è certamente la parte più interessante. Rappresenta l’evoluzione, il processo attraverso il quale tutto inevitabilmente cambia e tu non sei certo di cosa stia avvenendo finché il quadro non si completa e tutto diventa chiaro e leggibile. E’ esattamente quello che ci succede quando nella vita affrontiamo dei cambiamenti, non abbiamo la lucidità di analizzare e comprendere una situazione finché non la vediamo in maniera più distaccata, ad evoluzione terminata.

Che spazio ha l’improvvisazione?

Tutto lo spazio necessario! Posso studiare e provare fino allo sfinimento, ma poi basta una variazione impercettibile di un gesto che mi sposta le proporzioni e allora devo immediatamente riadattare quello che avevo assimilato affinché tutto quadri comunque. C’è sempre un margine importante di improvvisazione e questo mi porta ad elaborare la performance in maniera elastica, tentando di prevedere l’imprevedibile.

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Il connubio con la musica?

Ho iniziato e continuo a lavorare con il mitico “trio Note di Sabbia” composto da Alessandro Bravo al piano, Daniele Mencarelli al basso e Alessandro Paternesi alla batteria, musicisti straordinari e jazzisti di altissimo livello con i quali ci siamo spesso divertiti come matti ad improvvisare di sana pianta interi set di spettacoli e, complici le personalità un po’ folli di tutti e quattro, quando si va in trasferta con Note di Sabbia è un po’ come andare in gita scolastica, non sai mai cosa possa succedere.

I tuoi spettacoli sono caratterizzati da luci e ombre, il colore ti manca?

No, anzi. Esiste la possibilità di usare sabbie colorate ma i colori non mi hanno mai attratto. In termini di frequenze di luce, il bianco è la presenza di tutti i colori, in termini di pigmenti invece è il nero la somma di tutti quanti, quindi per quanto mi riguarda c’è già tutto. Nel disegno su sabbia poi sottolinea il limite, a volte sfumato a volte netto, tra la luce e l’ombra, altra metafora calzante della vita di tutti i giorni. Sempre prendendo in prestito frasi di personaggi più autorevoli di me, Goethe diceva che dove c’è molta luce, c’è molta ombra ed io non posso che essere d’accordo. Ho imparato ad amare le mie ombre e quelle altrui proprio perché frutto di una luce, di conseguenza più buia è la mia ombra più forte dev’essere la mia luce.

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Alla fine di ogni spettacolo, il fatto che non rimanga nulla di fisico, ti crea qualche frustrazione?

Mai! Quel che resta, quel che mi resta è clamorosamente più di quel che ho lasciato andare, se così si può dire. D’altronde dopo aver gustato una bistecca, resta la sazietà e la soddisfazione d’averla mangiata, non hai certo l’impressione che sia sparita o di averla persa. Credo inoltre che tutto ciò che si fa per sé e per gli altri torni indietro moltiplicato. Nel bene e nel male, s’intende!

Se tu fossi un aroma, che aroma saresti?

Vin brulé (vino caldo speziato con cannella, chiodi di garofano, scorze di arancia…)

Un aggettivo per definirti

Agrodolce.

Un tuo desiderio che non si è ancora avverato.

Diventare regista teatrale di Opera lirica. Un desiderio meno romantico ma più realistico invece è di andare a sparare al poligono.

Ora che andrai al mare, scoglio o spiaggia?

Spiaggia tutta la vita! Sono profondamente leale e resto fedele alla mia compagna di viaggio, gli scogli li lascio alle cozze (i molluschi ovviamente).

 

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