La bellezza è diventata sempre più sinonimo di noia. Così sembra suggerire il processo evolutivo dell’estetica nella moda e nell’arte: il brutto è sempre più la lingua dei ribelli e se la società fosse una persona, l’estetica del brutto sarebbe una forma d’ansia. L’ugly chic è diventato cool e sinonimo di stravolgimento culturale tra passerelle, performance artistiche e subculture diventate pop. È un’estetica che ha riscritto le regole del glamour che non si limita ad essere una moda passeggera ma che trasforma il brutto in un’estetica ricercata.
Il vestito di carne di Lady Gaga: cattivo gusto o arte?
2010 MTV Video Music Awards, ci sono poche immagini che hanno scioccato il mondo della moda e della pop culture come il “meat dress” di Lady Gaga. Un vestito realizzato interamente con carne cruda, disegnato da Franco Fernandez su progetto di Nicola Formichetti, capace di accendere polemiche e dibattiti. L’outfit della cantautrice americana ha generato interrogativi importanti sull’uso del corpo e degli animali nell’arte, ma è stato anche un esempio calzante di come il brutto e l’eccesso possano trasformarsi in atto di ribellione estetica. L’intento provocatorio è chiaro: Lady Gaga e lo stilista hanno sfidato le convenzioni della moda. Un gesto simbolo di emancipazione, giocando con l’idea di un corpo ridotto a merce. Oltre Oceano sono fioccate svariate interpretazioni una delle quali affermerebbe che il “meat dress” è una critica contro il consumo di carne eccessivo della società, contro l’industrializzazione dell’allevamento e della macellazione, come scriveva Levis-Strauss “oltre all’abitudine di ridurre l’animale a semplice materia prima”. Sicuramente il “meat dress” di Fernandez è divisivo sotto tutti i punti di vista ed è brutto. Quell’anno, ormai 14 anni fa, venne votato come miglior capo della moda dell’anno.
Ugly chic: un esempio tutto italiano
L’Ugly Chic prende piede negli anni ’90 e trasforma l’apparente cattivo gusto in dimostrazione di intellettualismo e di consapevolezza estetica. Miuccia Prada è stata tra le prime a sdoganare questo concetto. La sua collezione 1996 vede sfilare il brutto sulla passerella come simbolo di sfida ai canoni tradizionali di bellezza. Come? Con accostamenti inusuali e materiali ordinari che diventano così i nuovi codici del cool. Ma ciò che una volta era provocazione, con il tempo è diventato linguaggio visivo dominante.
La moda baggy: subcultura che diventa mainstream
L’Ugly Chic affonda le sue radici nelle subculture che, con il tempo, hanno fagocitato la moda di massa. Un esempio è la moda Baggy, figlia dell’hip hop e dello streetwear anni ’80 e ’90. Quello che una volta era un simbolo di anti-conformismo urbano, caratterizzato da outfit oversize, è stato lentamente inglobato dalle grandi maison. Marchi come Vetements e Balenciaga, figlio e figlioccio dello stilista georgiano Demna Gvasalia, hanno fatto dell’oversize e dell’ugly chic il loro segno distintivo. L’abbigliamento oversize era un simbolo di ribellione e disagio sociale. Tupac e Notorius B.I.G., con la loro ascesa negli anni 90’, hanno elevato lo stile baggy a sinonimo di potere ed identità culturale. Pantaloni larghi, T-shirt oversize e chunky sneakers erano l’esatto opposto delle linee aderenti e raffinate della moda “tradizionale”.
Il passaggio delle subculture nel mainstream è stato tanto rapido quanto inevitabile, trasformando ciò che era una dichiarazione d’identità in un fenomeno globale. Ora l’abito largo e sproporzionato è più una dichiarazione di superiorità economica e culturale, in 30 anni i ruoli ed i significati si sono completamente ribaltati.
Ironia e decadenza nell’era social
Eh si, anche l’ascesa dei social media ha scombussolato la moda. La perfezione estetica non è più l’obiettivo: l’autenticità, anche se spesso artificiosa, è la nuova regola. Gli influencer ricamano sull’estetica del brutto, postando foto imperfette e abbracciando look disordinati o “troppo normali” che, però, nascondono un’attenta costruzione. Il brutto difatti viene esaltato proprio perché è diverso, capace di attirare attenzione in un feed altrimenti troppo patinato. Esempio sono le Crocs, brutte prima di essere rilette da Balenciaga diventando poi stravaganti, o le Birkenstock, da “sandalo del turista tedesco” a must-have per i trendsetter.
L’equilibrio delicato tra provocazione e assuefazione
Ma per quanto tempo la bruttezza potrà ancora provocarci? L’Ugly Chic è nato come rivolta estetica e rischia di diventare prodotto commerciale privo di significato. La bellezza diventa noiosa, ma la bruttezza attraverso una saturazione del mercato sta prendendo la stessa piega: ciò che una volta scioccava, oggi annoia. Il brutto per continuare ad esserlo deve essere sostenuto da una riflessione critica che vada oltre la provocazione estetica. È l’estetica di chi cerca di raccontare una storia diversa attraverso opere che sfidano il buon gusto. L’ugly chic è l’inquietudine di chi non si accontenta di un mondo dove tutto è curato e costruito alla perfezione.