Modelle dai volti eterei con lo sguardo perso in un’altra dimensione, a tratti sognante, appaiono appoggiate alle mura di un antico edificio dalle mura scrostate in cui la natura si è insinuata. Una delle più oniriche campagne pubblicitarie di Valentino risale al 2012 ed ha sullo sfondo i paesaggi del Messico. Paesaggi che assumono un sapore quasi fiabesco rendendo riconoscibile lo stile della più rivoluzionaria di tutte le fotografe di moda. Autrice di quegli scatti, che annunciano la collezione Primavera Estate 2012 della maison romana è, infatti, Deborah Turbeville; a raccontarci chi era questa donna ci pensano le sue fotografie.
Immagini che portano il segno di un’infanzia mai vissuta pienamente. Nata nel Massachusetts nel 1932, la Turbeville cresce in una famiglia colta in cui si respira l’arte e giocare con gli altri bimbi non è concesso. Dunque, isolata da quel mondo infantile che a tratti emergerà nei sui scatti, la futura fotografa frequenta l’istituto Brimmer and May.
L’influenza dei paesaggi della sua adolescenza
Proprio quel luogo, caratterizzato da cieli plumbei, tempeste di neve, nebbia e foschia, ispirerà i suggestivi e surreali scenari ritratti da Deborah. L’incontro con l’alta moda avviene nel 1957 quando, abbandonata l’università della Georgia, si trasferisce appena diciannovenne a New York iniziando a lavorare come modella e assistente della stilista Claire McCardell. È quello il trampolino di lancio che consente alla Turbeville di avviare la sua carriera di fotografa nel mondo dell’haute couture.
In breve tempo viene presentata, infatti, a Diana Vreeland, all’epoca fashion editor di Harper’s Bazar, rivista di cui nel 1963 la giovane Deborah diviene fashion editor. È l’inizio di una lunghissima collaborazione con le più importanti e prestigiose riviste di moda internazionali. Se i suoi primi scatti, risalenti agli anni in cui era studentessa a Boston, ritraggono oceani in tempesta sormontati da fitte nebbie, immagini bellissime e sinistre allo stesso tempo, è un servizio fotografico realizzato in Yugoslavia nel 1966 che segna per lei il punto di svolta.
L’inizio della carriera nella moda
Ad apprezzare il suo lavoro è Richart Avedon che, affascinato dalla visione della Turbeville, decide di farle da maestro insegnandole le tecniche fotografiche più all’avanguardia. Insegnamenti di cui Deborah fa tesoro rivoluzionando il mondo della fotografia di moda a partire dagli anni ’70. Così, tra pioppi e ruderi di un’antica casa di campagna a Mantova, in cui Bertolucci ha ambientato il suo “Novecento”, realizza il primo servizio allontanandosi totalmente dall’estetica proposta da Helmut Newton fino a quel momento.
Tra le prime immagini firmate da Deborah Turbeville che si ricordano, quelle del 1972, in cui ragazze in bikini appaiono sullo sfondo di un cementificio. Tuttavia, è nel 1975 che la fotografa americana diviene popolare grazie ad una serie di scatti che immortalano modelle languide e quasi nude in uno stabilimento balneare.
Gli scenari onirici
È lei la prima fotografa, dunque, a spostare l’attenzione dagli abiti ad un’ambientazione evocata da location accuratamente selezionate. Scenari in cui riemerge il passato di Deborah, ovvero le estati trascorse, durante l’adolescenza, a Ogunquit, nel Maine. Qui trovano spazio ammalianti ballerine di Degas, personaggi femminili di Dostoevskij, nonché del cinema di Visconti, Eisentein Fassbinder, Tarkosvsky, Bresson e Bergman. Sono le fonti letterarie e filmiche a cui attinge la Turbeville nel suo processo creativo.
A far da sfondo a queste donne che sembrano guardarci e scrutarci sono, dunque, atmosfere fiabesche che rimandano a quadri impressionisti dalle fredde tonalità in cui si collocano austere dimore nobiliari. Ulteriore tratto distintivo delle fotografie della Turbeville sono i graffi di cui lei stessa è autrice e che mirano a rendere le immagini meno nitide, offuscate, quasi scorticate. Di qui la grande passione che nutre per i collage: taglia e ricompone le sue stesse fotografie allontanandole il più possibile dalla linearità dei canoni dell’epoca.
Il libro per Onassis
Tutta l’essenza onirica di un mondo senza tempo sarà concentrata negli scatti che, nel 1979, Jackie Onassis le chiede di realizzare per immortalare i luoghi più belli della Reggia di Versailles. Frutto di questo lavoro è un libro, “Unseen Versailles”, pubblicato l’anno seguente, a cura della stessa Turbeville. Così, per quasi cinquant’anni, questa rivoluzionari mente creativa americana ha dato vita ad inimitabili servizi pubblicitari per Ungaro, Sonia Rykiel, Valentino, Yohji Yamamoto, Comme des Garçons, in cui quel mondo fiabesco mai vissuto nella sua infanzia trova finalmente posto.
E, immaginando di correre tra le mura di palazzi, teatri e ville in stile rococò e neoclassico, quell’animo di bambina che Deborah Turbeville ha custodito in un angolo remoto, fino al 2013, anno in cui si è spenta, pervade i sui malinconici scatti. ‘Fotografa del sogno’, l’hanno definita più volte. D’altra parte, osservando ciò che vien fuori dal suo obiettivo par di sognare ad occhi aperti.