Oggi, 20 aprile, celebriamo l’anniversario di Joan Mirò, storia di uno degli artisti più influenti del Novecento nato proprio in questo stesso giorno nel 1893 per lasciare la vita terrena dopo cento anni, precisamente nel 1983. Pittore, scultore e ceramista, lo spagnolo è stato uno dei massimi esponenti del surrealismo, trovando il vero successo a cavallo tra gli anni 40′ e 50′ senza spegnere mai la sua voglia di scoperta, di creatività e di avanguardia.
La storia di Joan Mirò: gli inizi
Una vita lunghissima quella di Joan Mirò, iniziata praticamente subito nel mondo dell’arte. Figlio di un orologiaio e orefice, nel 1907 intraprende in giovane età un doppio percorso, frequentando a Barcellona sia la scuola commerciale che l’Accademia di Belle arti delle Lonja. Il primo grande scossone della sua esistenza arriva quattro anni dopo con un esaurimento nervoso, fattore che lo spinge a trasferirsi nella fattoria di Montroig della Catalogna, apprezzamento di terreno acquistato dai genitori che diventerà in un lasso di tempo molto breve il suo principale luogo d’ispirazione.
A seguito della crisi papà Miquel e mamma Dolors, inizialmente contrari, lasceranno intraprendere in totale libertà la carriera artistica al figlio che, nel 1912, si iscrive quindi presso l’Accademia di Francisco Galì, dove verrà fortemente attratto dal tipo di insegnamento liberale. Nel 1915 Mirò affitta invece uno studio, entrando a pieno regime nel movimento artistico e scoprendo alcune correnti come il fauvismo.
Il trasferimento a Parigi
Rapito dalla comunità artistica di Montparnasse, nel 1920 Mirò decide di trasferirsi a Parigi, dove conosce colleghi di alto profilo come Picasso, Tristan Tzara oltre che il circolo dadaista. Proprio in questi anni comincia a manifestarsi in modo importante il suo stile, originalissimo, inizialmente più incline al dadaismo per poi sfociare nell’astrattismo surrealista. Ma il suo primo dipinto di rilievo è ancora privo di queste due influenze. Stiamo parlando de “La fattoria” (1921), raffigurazione proprio del luogo d’infanzia in uno stile naif ma già decisamente personale.
L’opera rivelatrice del manifesto surrealista, realizzata prima dell’effettiva stesura di Breton, è invece “Il carnevale di Arlecchino” (1924-1925). Qui infatti è già applicato il cosiddetto automatismo psichico, dunque il trasferimento automatico di immagini e associazioni libere di fluire dall’inconscio, in questo caso composte da una moltitudine di oggetti fluttuanti in movimento tra cui si susseguono elementi riconoscibili ad altri più astratti.
Joan Mirò: i primi successi
Gli annu successivi non furono facile per l’artista. Dopo essersi sposato a Mallorca con Pilar Juncosa, a causa dello scoppio della guerra civile spagnola Mirò è costretto a tornare a Parigi, per poi ritornare in Spagna per via dell’invasione nazista in Francia. Durante la guerra civile il nostro si schiera dalla parte dei Repubblicani, realizzando durante l’esposizione universale del 1937 un grande murales intitolato “El segador”, simbolo dell’identità catalana.
Le esposizioni internazionali
Proprio subito dopo questo periodo viene dato alla luce uno dei dipinti più importanti del Maestro, “Femmes et oiseaux devant la lune” (1946), audace accostamento tra la femminilità, la notte e la sessualità trasportate su tela con figure semplici, misteriose e strettamente personali. Agli inizi degli anni quaranta Joan Mirò si reca inoltre negli Stati Uniti in occasione della sua esposizione al Museum of Modern Art di New York e, nel 1947, realizza un altri gigantesco murales nella terrazza dell’hotel Hilton di Cincinnati, capolavoro con un blu predominante.
La vera celebrità arriverà nei decenni successivi, anche grazie a due prestigiosi riconoscimenti come il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e il Premio Internazionale Guggenheim.
L’ultimo periodo
Il punto più alto di soddisfazione personale per Juan Mirò è però datato solo 1956, anno del trasferimento definitivo a Palma de Mallorca, una località per anni tanto agognata. Pur con una fama, una eco mediatica e un consenso a scala globale, l’artista rimase sempre con una personalità low profile e completamente ammaliata dal suo lavoro. Non per a caso si renderà protagonista di sperimentazioni continue anche in età avanzata.
Tra i dipinti più significativi dell’ultimo periodo è importante citare “La speranza del condannato a morte”; un trittico rappresentante la protesta dell’artista una volta venuto a conoscenza della condanna a morte dell’anarchico Salvador Puig Antich, ucciso durante la dittatura franchista. Un’opera che dà una vera e propria sensazione di stasi e che regala un lato per certi versi inedito dell’artista.
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