Divertirsi senza spendere molti soldi? È l’economia del riuso nonché tendenza amata dalla generazione Z. Alla base ci sono motivazioni etiche, sociali ed economiche, e, se il risultato è a vantaggio dello sviluppo sostenibile, tanto meglio. Si tratta del thrifting e consiste nell’acquistare abiti griffati a poco prezzo. Un fenomeno che ha subìto una crescita esponenziale negli ultimi anni, contribuendo ad aumentare la consapevolezza nei consumatori nel fare acquisti migliori e comprare meno sui siti di abbigliamento fast fashion. Una nuova sensibilità che si fa spazio con determinazione in particolare tra i giovani.
Che cos’è il thrifting?
Letteralmente significa parsimonioso, riguarda l’acquisto di abiti e accessori di lusso a basso costo; di solito la ricerca avviene principalmente rovistando e scovando capi e oggetti preziosi nelle bancarelle o nei mercatini vintage. L’interesse per l’abbigliamento di seconda mano è diventato un trendy già da parecchio tempo ma adesso sta spopolando soprattutto tra i giovanissimi. Lo ha sostenuto anche Instagram nel suo Trend Talk 2024 realizzato in collaborazione con l’agenzia di trend forecasting WGSN.
La passione per il vintage e la spinta dei consumatori verso i capi pre-loved
si sono evoluti con il passare del tempo, sia per la crisi a causa dell’alto costo della vita che come soluzione a superare le preoccupazioni per la sostenibilità. Lo testimoniano i numerosi post, video e reel pubblicati sui social network (come quelli dal titolo “thrift with me” ) dove i blogger o content creator mostrano con soddisfazione le loro compere low cost indicando i luoghi più sconosciuti e consigliando piacevoli chicche e articoli originali. Una scelta che è altresì una necessità connessa al desiderio di evitare la tentazione di acquisti proposti dalla moda veloce a rimettere in circolazione vecchi vestiti evitando sperperi e rispettando l’ambiente. La generazione moderna dei parsimoniosi è dunque interessata a risparmiare denaro ed è costantemente motivata a cambiare le proprie abitudini di acquisto per fare davvero la differenza.
Marketplace di moda second-hand: thrifting virtuale
L’economia circolare è sicuramente un concetto familiare come è ormai risaputo che la moda è uno dei settori più inquinanti al mondo: facile da dire e dimostrare. Secondo le stime dello United Nations Environment Programme l’industria globale del fashion è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra. Quindi non sorprende il boom del resale avvenuto nei tempi recenti. Per i consumatori la volontà di ridurre il proprio impatto sul pianeta è sempre di più in aumento, perché la decisione di optare per un capo retrò ha il vantaggio di far rinvenire pezzi unici o fuori produzione ancora ricercati e molto richiesti, rendendola non solo una scelta intelligente e sostenibile ma può rappresentare addirittura un flusso di entrata per abili venditori.
Oltre ai mercatini dell’usato, tanto in voga negli anni ’70, vi sono svariati siti dedicati agli abiti second-hand, che continuano a investire per garantire soluzioni tecnologiche innovative. Per esempio ad inizio 2024 la piattaforma francese Vestiaire Collettive ha lanciato l’iniziativa di un finanziamento collettivo basato sulla partecipazione della sua community – i clienti –, sul crowdfunding Crowdcube; mentre lo scorso anno aveva aperto il capitale ai suoi dipendenti. Il colosso e-commerce Farfetch ha invece la sezione Farfetch Second Life, che fornisce credito per gli acquisti in cambio di articoli firmati di seconda mano.
Per non parlare della riuscita dell’app di rivendita lituana Vinted che ha conquistato il mondo dell’e-commerce riuscendo a modificare un modello di consumo basato su due estremi: il lusso inaccessibile per molti e la cosiddetta moda usa e getta raggiungibile da tanti. Ma per fortuna i compratori stanno iniziando a rompere il circolo vizioso del consumo su cui si fonda l’industria della moda, che non solo è costoso per loro, ma pure distruttivo per l’ambiente.