‘Un incanto’, così definisce il film Vermiglio la bella recensione di Francesco Boille a proposito della pellicola che rappresenterà l’Italia davanti all’Academy per ottenere una nomination all’Oscar come miglior film straniero. Si tratta del primo lungometraggio narrativo della regista trentina Maura Delpero, già conosciuta e apprezzata nel panorama cinematografico internazionale per il suo documentario Maternal del 2019. Con Vermiglio, Delpero si immerge ancora una volta in una storia potente, profondamente femminile e densa di simbolismi, esplorando il legame tra l’ineluttabile – rappresentato dalle splendide ma spaventose montagne che sono sfondo e personaggio chiave – e l’animo umano.

Il contesto

Vermiglio è un piccolo paese montano delle Alpi retiche, siamo nel 1944, l’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale che appare così lontana dalla quiete del villaggio, ma che finirà comunque per interferire nella vita dei protagonisti. Il focus della narrazione è la storia di tre generazioni di donne che sono tre dei sette tra figli e figlie del Pater Familias, il professor Cesare Graziadei. Un uomo apparentemente illuminato, che legge il giornale anziché giocare alle carte, che insegna a leggere e a scrivere a tutto il paese, ma che usa la cultura per esercitare il ruolo di dittatore supremo nella piccola comunità. Pur senza usare la violenza, è lui che opprime le tre figlie, Lucia, Ada e Flavia, ed è sempre lui a imporre la pericolosa scelta di nascondere il nipote disertore e il commilitone siciliano che irrompono nella vita del villaggio, sconvolgendone il delicato equilibrio. I due fuggiaschi diventano il viatico attraverso cui la Storia, che si sta consumando pochi chilometri piu in là, penetra l’asprezza della montagna e si diffonde per il borgo, provocando sconvolgimenti, amore e morte cadenzati dal lento e inesorabile incedere delle stagioni. Le tre donne, isolate in una grande casa circondata da paesaggi aspri e incontaminati, finalmente hanno la possibilità di ampliare lo sguardo oltre il villaggio e immaginare, imbastire sogni destinati a durare il tempo di un soffio, così come la vita stessa. Sono tre donne che cercano un senso, una via di fuga e, nel farlo, pongono le basi per abbattere le sicurezze patriarcali di Cesare e abbattere quel mondo angusto e antico destinato a scomparire, così come la guerra e i suoi emissari.

Natura e simbologia

Uno degli elementi portanti della narrazione di Maura Delpero è l’uso della Natura come parte integrante del plot. Le montagne, i boschi e i cambiamenti stagionali riflettono lo stato d’animo dei personaggi, in particolare delle tre donne protagoniste. La natura non è mai semplicemente uno sfondo, ma diventa un personaggio in grado di influenzare le emozioni e le scelte dei protagonisti. Le montagne incombenti, spesso avvolte dalla nebbia o coperte di neve, rappresentano tanto la bellezza quanto l’isolamento, offrendo protezione, ma anche creando un senso di claustrofobia emotiva che accompagna tutto il film. Il colore rosso scuro, evocato dal titolo, appare ricorrente in diversi momenti chiave della narrazione, simboleggiando la vita, la morte e la rigenerazione, tematiche centrali all’interno della vicenda. Usando, ad esempio, il sangue e il fuoco, due elementi associati a rituali di purificazione e trasformazione, che creano una connessione diretta tra il ciclo naturale della Terra e quello delle vite umane. In un’altra scena particolarmente evocativa, vediamo le protagoniste raccogliere bacche rosse nei boschi, un gesto semplice che si carica di significati simbolici legati alla tradizione, alla magia e alla fertilità.

Isolamento e identità

L’isolamento geografico del villaggio rispecchia l’isolamento emotivo dei personaggi, ostaggi di un quieto vivere che è solo illusorio e diventa prigione immateriale. La casa di famiglia, pur essendo un rifugio fisico, diventa anche il simbolo delle barriere psicologiche che ogni donna si trova a dover affrontare e superare. Vermiglio esplora la tematica dell’identità femminile in relazione alla famiglia e alla società, interrogandosi su cosa significasse essere una donna in un mondo dove la modernità sembra ancora lontana, ma sta bussando alle porte. La tensione tra autonomia individuale e senso di responsabilità verso la propria famiglia e la comunità diventa una delle forze motrici della narrazione, e Delpero non offre risposte semplici. La regista sceglie di usare il dialetto trentino, sottotitolato, per evidenziare anche una difficoltà comunicativa con l’altro, con lo straniero e ci invita a riflettere su quanto le nostre radici influenzino i nostri comportamenti, e su come, a volte, sia impossibile sfuggire al passato e aprire occhi e mente a un futuro inevitabile.

Vermiglio

Davvero ‘un incanto’, un film di rara bellezza visiva ed emotiva, che fonde elementi del cinema d’autore con un tocco di realismo magico, meritando paragoni con Ermanno Olmi, creando un mondo dove le emozioni e i sentimenti sembrano riflettersi nel paesaggio circostante. Maura Delpero offre una riflessione profonda e coinvolgente sul legame tra Natura, famiglia e identità, riuscendo a rappresentare le sfide e le complessità dell’essere donna in un contesto tradizionale e al tempo stesso universale. Grazie alla straordinaria e raffinata attenzione ai dettagli e alla psicologia dei personaggi, Vermiglio si afferma come uno dei film più potenti e suggestivi del cinema contemporaneo italiano, meritando pienamente sia il recente riconoscimento alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha vinto il Leone d’argento, sia l’inserimento nella short list per gli Oscar.

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