Una giovane donna appare allo specchio e, mentre mette il mascara con eleganza, racconta la storia di Maurice Béjart, celebre danzatore e coreografo francese. Di lì a poco avrebbe scelto l’abito più raffinato per andare a teatro. La giovane donna del video è Serena Rainò, figlia dell’ex primo ballerino dell’Operà di Roma, Alfredo Rainò, e in quel reel pubblicato sul proprio profilo Instagram, racchiude la sua storia. Una storia, fatta di camerini e palcoscenici teatrali, atmosfera respirata da Serena, oggi danzatrice e insegnate diplomata presso l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano ma anche content creator di successo, sin dalla tenera età. Fra le braccia di mamma, musicista, e papà, ètoile della danza, ha mosso i primi passi in quel mondo che sarebbe diventato il suo grande amore. Una passione, quella per la danza e il teatro divenuta negli ultimi anni una vera e propria missione per lei: portare virtualmente a teatro, attraverso stories e reel frizzanti, moderni e cool, gente di ogni estrazione sociale e culturale è, infatti, la scommessa della cultural influencer. In questa intervista esclusiva, Serena Rainò, racconta come è arrivata a costruire la community che oggi la segue.
Il rapporto con il padre Alfredo Rainò
Nata e cresciuta a teatro, tra danza e musica: ricordi la prima volta che hai visto danzare tuo padre?
Poiché papà mi portava nel marsupio quando ero molto piccola mentre insegnava, probabilmente la prima volta che l’ho visto danzare ero in braccio a lui. Ma il primo vero ricordo che ho risale ad una tournée a Roma della sua compagnia di balletto che si chiamava Prometheus. Era uno spettacolo sulle maschere e ricordo che io, avevo circa tre anni, ed ero totalmente innamorata del ballerino che impersonava Arlecchino.
Oggi condividi insieme a lui l’arte dell’insegnamento della danza: siete più spesso in conflitto o d’accordo?
Ora le cose vanno meglio ma inizialmente non è stato facile, soprattutto dopo i miei studi presso La Scala. Fino a quando ero sua allieva andavamo molto d’accordo anche sulle metodologie, sui nomi dei passi. Successivamente alla mia formazione presso La Scala di Milano tutto è cambiato. Mio papà ha studiato all’Opera di Roma con l’ultima allieva di Cecchetti da cui ha tratto il metodo; io invece ho studiato il Vaganova.
Pur essendo entrambi validi metodi, in essi cambia la denominazione dei passi, così come la metodologia di insegnamento di alcune sequenze. Eravamo molto in disaccordo, finchè, con il passare degli anni, ho deciso di mettere da parte i contrasti perché ho capito che i nostri due modi di insegnare potevano essere ulteriore arricchimento per i nostri allievi.
Gli inizi nel mondo della danza
Il tuo ingresso nel mondo della danza è stato frutto di un destino già segnato o di una scelta?
Non è stato un percorso lineare il mio perché avevo in mente tutt’altro. Mi ero laureata in psicologia clinica e pensavo che avrei fatto quello nella vita perché sono sempre stata innamorata della mente umana, dell’altro. Amo la gente, mi piace sperimentare e cercare di scendere nelle profondità altrui. Però, allo stesso tempo, avendo studiato danza sin da piccolina, avendo vissuto il teatro sin da bambina, non sono mai riuscita a distaccarmene. Soprattutto quando, nel 2013, mi sono trovata in una situazione particolare in famiglia per cui non riuscivo a proseguire gli studi e serviva il mio aiuto nella scuola di danza dei miei genitori.
È stata una benedizione perché ho superato un momento difficile e allo stesso tempo mi ha aperto gli occhi su quello che mi poteva realmente rendere felice. Per quanto io ami la psicologia, sono una persona molto creativa e sensibile perciò ho capito che il teatro sarebbe stato il mio grande amore.
Come è iniziata l’avventura al Teatro La Scala e quali insegnamenti ne hai tratto?
Quello che avevo studiato fino ad allora non era sufficiente per diventare insegnate di danza; serviva una formazione più strutturata. Ho fatto una selezione che ho superato e sono entrata nell’Accademia del Teatro Alla Scala di Milano. Anni prima avevo fatto un’altra audizione in un’altra accademia dove però non fui presa. Ero molto giovane e non ricordo bene se ne fui delusa perché le emozioni di quel momento erano molto confuse; forse non ero ancora pronta, ma quattro anni dopo a Milano è andata bene.
Lì ho imparato ad essere più sfacciata perché sono sempre molto timida, mentre Alla Scala ho dovuto vincere tutte quelle resistenze che mi portavano a chiudermi in me stessa. Quindi mi sono messa in gioco perchè volevo seriamente imparare. Avevo un’insegnante molto severa che mi faceva continuamente notare le mie lacune. Lì ho capito che dovevo uscire dalla mia confort zone se volevo ottenere qualcosa, così ho imparato ad non avere paura degli altri.
La carriera da influencer
Oggi sei anche un’influencer e content creator: come ci sei arrivata?
Questo è stato un percorso obbligato poiché, per quanto il mondo dei social mi abbia sempre affascinato, fino al 2020 lo utilizzavo solo a scopo ricreativo e ludico. Con la pandemia, avendo dovuto chiudere la scuola di danza ho pensato di realizzare alcune dirette insieme ad una mia cara amica in cui facevamo esercizi semplici di sbarra a terra e ho visto che piacevano. Ho pensato allora di codificare queste lezioni aggiungendo qualcosa di fitness tradizionale, dello yoga e del pilates per poi creare un allenamento fruibile online che avesse elementi di danza classica.
Ho iniziato divulgando esercizi inseriti nelle lezioni e poi, pian piano, ho condiviso contenuti del mio mondo, della danza, del teatro, fino ad arrivare alla mi vita privata. C’è anche il risvolto negativo della medaglia perché così come trovi persone gentili, incontri anche l’hater che non ti conosce e viene lì a dirti cose non molto carine. Non l’ho mai nascosto e l’ho sempre detto: non ho il carattere per stare sui social e può bastare un commento a destabilizzarmi, però ci sto lavorando per superare il problema.
I social sono strumento potentissimo per divulgare nozioni sul mondo teatrale e culturale. In che modo lo stai facendo?
Mi viene in mente la storia della rana bollita secondo cui una rana messa in una pentola piena d’acqua e lasciata sul fuoco lento non si accorgere che qualcuno la sta bollendo. Io con il mio profilo sto facendo un percorso simile. Ho iniziato parlando di squat, che sono un elemento di interesse universale, creando video in cui facevo vedere workout. Se questo era un argomento trasversale, il teatro e la danza purtroppo non sono temi con lo stesso appeal.
Perciò bisogna partire prima a fuoco lento e pian piano inserire sempre più contenuti sull’arte, il teatro, l’opera. Così la rana che all’inizio era lì solo per gli squat, magari comincia ad affezionarsi anche al mondo della cultura. Penso che per spiegare l’arte in maniera pop ci voglia una certa maestria. Bisogna parlare di teatro in modo che sia fruibile per chi non ha mai sentito parlarne. Ecco, così, tra uno squat e un rossetto, vorrei spiegare lo Schiaccianoci, ad esempio.
L’anteprima del documentario Carla Fracci
Sarai ospite a Roma di un evento molto speciale: di cosa si tratta?
Inizia tutto con una mail al cui interno c’era una locandina su cui si leggeva una data, quella del 6 novembre, e due location, Roma e Milano. Stavo insegnando e mi si è spento per un attimo il cervello prima di capire che quello che avevo ricevuto era un invito all’anteprima nazionale del nuovo documentario su Carla Fracci di Daniele Lucchetti.
Ci sarà prima la proiezione e poi l’incontro con il regista. Essere invitata per me è un piacere immenso, prima di tutto perchè, come scritto sul mio profilo Instagram, mi sento un po’ Fracci e un po’ Carrà e, quindi, è come se avessero invitato una parte di me. Poi questo invito significa che il percorso che ho intrapreso nella divulgazione della storia del teatro e della danza attraverso i social sta cominciando a prendere forma: siamo solo all’inizio ma sono emozionata.
Gli occhi di Serena Rainò brillano mentre racconta quest’avventura che la avvicinerà al mondo di Carla Fracci. Una diva della danza, quest’ultima, che Alfredo Rainò, – padre della ballerina e content creator – , conosceva bene poichè danzarono insieme molte volte condividendo palcoscenici importanti. Serena, invece, ha visto ballare la Fracci ne “La Bella Addormentata nel Bosco” all’Opera di Roma negli anni 2000. La ricorda leggera come una nuvola, come se la parte superiore del suo corpo fluttuasse e le sue gambe scivolassero anziché camminare. Con quest’immagine ancora viva nella sua mente, si prepara all’incontro con la storia di uno dei sui idoli, chissà, che anche quello con la vita della Carrà, altra sua beniamina, non tardi ad arrivare.