Questo è l’anno del cambiamento e, tornati ad una simil-normalità, il Fashion Act del 2022 pone nuovamente l’attenzione su temi sensibili come l’ambiente e su cos’è necessario fare per salvaguardarlo. L’interesse per la sostenibilità e l’ambiente è da molti anni un focus centrale delle più importanti industrie ed organizzazioni mondiali che hanno cercato di studiare piani efficaci per ridurre i rifiuti e gli scarti prodotti annualmente. In particolare, nell’industria della moda sono molti i brand che hanno fatto della sostenibilità il perno attorno cui far ruotare le loro collezioni. Esempi notevoli sono stilisti come: Stella McCartney (sponsor della proposta), creatrice di tessuti simil-camoscio, poliestere riciclato ed assenza di derivati animali; Valentino Garavani, vincitore del Legacy Award nel 2019; Vivienne Westwood, con la collezione Red Label del 2010.
La proposta del New Standard Institute
Studi di settore hanno fatto emergere come l’industria della moda sia responsabile di circa l’8-10% delle emissioni di gas serra e di circa 90 milioni di tonnellate di rifiuti tessili ogni anni. Dall’utilizzo di plastica, derivati animali, sostanze non riciclabili, agli abusi dei consumatori, si è reso necessario dare una svolta. L’organizzazione no-profit, fondata da Maxine Bédat, il cui principale interesse è la sostenibilità, ha così proposto il Fashion Sustainability and Social Accountability Act (o Fashion Act 2022) come strumento per tenere sotto controllo questi scarti e così tentare di dare un contributo significativo all’ambiente (anche in linea con l’accordo di Parigi del 2015, sul clima e sulla riduzione del riscaldamento globale).
Cosa è il Fashion Act e come funziona?
La proposta invita le principali aziende di moda che vi aderiscono a:
- tenere traccia almeno del 50% delle proprie supply chain, ovvero il “come, dove e quando” delle materie prime;
- stilare un rapporto annuale sulla due diligence per fare luce sui possibili rischi ambientali e sociali;
- comunicare, non solo gli effetti positivi, ma soprattutto quelli negativi come l’impatto sulle acque e l’utilizzo di agrofarmaci;
- tutte queste informazioni devono essere rese pubbliche, online ed accessibili.
Penalità per l’inosservanza di questi punti è una multa che può arrivare anche al 2% del fatturato annuo della stessa azienda ed eventuali sanzioni che possono arrivare a 450 milioni di dollari. Le aziende che prevedono di aderire al programma hanno tempistiche che vanno dai 12 ai 18 mesi per conformarsi e produrre l’analisi dell’impatto. La proposta, quindi, sarebbe una svolta epocale per la sostenibilità e darebbe allo Stato di New York il primato in questa iniziativa green.
I pros e cons del lusso sostenibile
Grazie alla sua trasparenza, il Fashion Act 2022 vuole sensibilizzare anche il consumatore, che ora diventa un green consumer di una delle industrie che vantano i più alti fatturati mondiali. Rendendo le analisi pubbliche ed accessibili online, chi acquista può scegliere tra i brand più eco-friendly, senza dover rinunciare alla scelta di moda e stile. In quest’ottica di lusso sostenibile, sono sempre più frequenti i runway show che portano in passerella abiti ed accessori ideati interamente con materiali riciclati e riciclabili, permettendo alle aziende moda di rinnovare senza inquinare.
C’è da considerare, però, anche un altro aspetto: la mole di prodotti invenduti
Il costo della materia prima è aumentata vertiginosamente e, sebbene l’intenzione di ridurre l’impatto ambientale c’è, bisogna far fronte ad un problema di impossibilità economica dei compratori. Uscendo dai due anni di pandemia, il consumatore, spesso, predilige capi il cui rapporto qualità-prezzo non soddisfa i criteri di cui prima. Quindi, seppure il 70% circa si attiva nel promuovere una moda green, incentivando gli acquisti, nella realtà solo il 20% lo fa. Il Fashion Act 2022, ad oggi, resta ancora una proposta che, però, ha tutte le carte in regola per aiutare il nostro pianeta. Non ci resta che attendere ed attivarci, anche nel nostro piccolo, in qualità di green consumers.
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