Nonostante alcune critiche, il film su Yara Gambirasio schizza nelle classifiche internazionali della piattaforma streaming. Al quinto posto delle classifiche dei film più visti su Netflix c’è “Yara”, pellicola uscita solo pochi giorni fa. Il prodotto televisivo è risultato fra i più apprezzati per i duecento milioni di abbonati della piattaforma di Reed Hastings. Non pubblicando i dati, non rivela con certezza quanti siano stati gli utenti a vedere il film italiano dedicato al delitto di Yara Gambirasio, uccisa nel bergamasco a 13 anni nel 2010.
Un caso di cronaca nera fra i più discussi in Italia che Netflix,
sul soggetto scritto da Pietro Valsecchi, ha trasformato in un film di quasi due ore con la regia di Marco Tullio Giordana, già al lavoro su altri casi di cronaca nera italiana con i film Cento passi e Meglio gioventù. Nella pellicola, che è stata anche al cinema per tre giorni dal 18 al 20 ottobre, è protagonista un cast interamente italiano in cui compaiono Isabella Ragonese, Alessio Boni, Thomas Trabacchi.
Il successo di “Yara” è un ottimo colpo per le pellicole della divisione italiana di Netflix, che ha sfruttato la passione del pubblico per il crime dando a esso una delle più crude realtà della provincia. Il delitto di Brembate di Sopra infatti è stata una vicenda decennale, lunga e con continui risvolti giudiziari. In altre parole, molto italiana. Ma se “Yara” è stato valutato come un film con molte controversie, aspetti negativi e, soprattutto problemi di sceneggiatura, all’estero invece è stato molto apprezzato. Altrimenti, non sarebbe fra i prodotti Netflix più visti del momento.
“Yara” è un buon contenuto, ma non riesce a raccontare una storia con il giusto metro di misura.
La sceneggiatura prende il punto di vista del pubblico ministero Letizia Ruggieri, chiamata a indagare sul caso insieme con il maresciallo dei Carabinieri, interpretato da Thomas Trabacchi. Premesso che si tratta di un film sceneggiatura su una storia vera, e quindi non un documentario, ci sono delle cose che non quadrano. Come detto anche per altri prodotti televisivi o serie, da Divin Codino (sempre su Netflix) a Loro di Sorrentino o anche il delitto di Perugia, è difficile racchiudere in due ore una storia decennale, o la biografia di un grande personaggio. Ma non è tanto questo ad aver scomodato i giudizi negativi di buona parte della stampa italiana. La critica infatti si è concentrata più sulla spiegazione del delitto, sull’omissione di certe fasi decisive ai fini di far comprendere la storia a un pubblico vasto. E qui si entra in una dinamica importante.
Su Netflix infatti ci sono tutti, dagli over 50 ai teenager, e tutti possono fruire degli stessi contenuti. Se un adulto può ricordare molto bene la storia e comparare i fatti reali con quanto esposto nel film di Marco Tullio Giordana, chi non ha mai sentito parlare di Yara e delle vicende di Brembate può facilmente equivocare quanto esposto dalla pellicola. Si può dire che, in effetti, per sommi casi l’ordine degli eventi sia stato quello e che la scienza, con il coinvolgimento di un’università e del Ris di Parma, abbia avuto un ruolo fondamentale. Ma a livello giudiziario c’è confusione, non si capiscono il movente né alcune dinamiche dell’indagine. C’è, insomma, un po’ di leggerezza intorno uno dei casi più discussi e su cui più si è scritto in Italia nell’ultimo ventennio.
Un’altra accusa che si potrebbe additare alla produzione è quella di scegliere il formato.
Perché fare un film di nemmeno due ore su un caso crime quando – proprio perché su una delle piattaforme che più ospita contenuti tv serializzati – si può sceneggiare una mini serie? Ci sarebbe stato più spazio per raccontare meglio lo sviluppo finale della vicenda, quello che nel film sembra più lacunoso. Per questo, infatti, in molti non hanno capito il senso di offrire un prodotto che nulla spiega e nulla aggiunge di ciò che è accaduto nel Bergamasco quasi dieci anni fa.
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