Lo diciamo subito: A complete unknown, il biopic sulla prima parte della carriera e vita artistica di Bob Dylan, è un’operazione maistream riuscitissima. Ma proprio perché concepito per il grande pubblico, il film può entusiasmare il fan meno accanito di His Bobness, nonché chi, tra i più giovani, ne conosce solo l’altisonante nome. Altro discorso è soddisfare le attese dei dylaniati Doc, quelli che hanno consumato i solchi dei suoi dischi, cavalcato le sconfinate praterie dei suoi bootleg e navigato i mari di carta degli  innumerevoli libri scritti sul menestrello di Duluth.

storia Bob Dylan 80 anni Life&People Magazine LifeandPeople.itD’altra parte non si può essere così ciecamente esigenti da ignorare la portata dell’impresa: raccontare a tutti l’epopea di un ragazzotto che, dal Minnesota dei primi Anni Sessanta, sbarca a New York con un fagotto e una chitarra e che in brevissimo tempo si ritrova ad essere acclamato universalmente come “la voce di una generazione”, non è impresa da poco. Anche perché nell’era dell’omologazione – non solo musicale – è una vera e propria sfida creare empatia nei confronti di un personaggio che rifiuta ogni tipo di etichetta che il mondo vuole appioppargli, arrivando a prendere a calci il successo appena conquistato.  Spoiler: nel corso della sua carriera ripeterà questo pattern almeno una mezza dozzina di volte, giocando a sfuggire al pubblico e a se stesso e rimescolando le carte di continuo.

Dylan era poco più che vent’enne quando venne salutato come il nuovo alfiere della musica folk americana

che mai, prima della sua entrata in scena, aveva raggiunto un simile livello di consenso e diffusione. Ma è proprio allora che il nostro riluttante eroe decide scientemente di distruggere questa immagine tanto rassicurante per il pubblico quanto asfissiante per la sua creatività. E così reclutò alcuni tra i migliori musicisti della scena rock newyorkese per poi catapultarli sul palco del tempio della musica folk, il Newport Folk Festival, per quella che sarebbe stata battezzata la “svolta elettrica” e che, per gli appassionati e i musicologi, equivale all’attraversamento del Rubicone.

Questa è, in sintesi, la parte della vita di Dylan raccontata in A complete unknown, un film che cattura l’atmosfera del Greenwich Village in maniera perfetta dal punto di vista estetico e scenografico, ma che tralascia quasi del tutto l’anima bohemien del quartiere e i suoi fermenti culturali. Sarebbe stato bello veder rappresentato l’incontro con il poeta Allen Ginsberg, che s’innamorò artisiticamente di Dylan e che stabilì una significativa connessione tra la Beat Generation e le opere del giovane cantautore.

Lettore famelico, – tra gli altri – di Kerouac e Burroughs

Tracce di queste letture sono chiaramente individuabili nei testi di Sua Bobbità dell’epoca: da Desolation Row a Subterranean Homesick Blues, il linguaggio crudo e senza fronzoli, assieme alle tematiche vicine agli ultimi e agli emarginati, sono intrisi della “poesia di strada” della Beat Generation. Di fatto fu il più autorevole tra i cantautori a portare la letteratura nella musica popolare. Ma queste “omissioni”, dovute a chiare esigenze di copione, non rendono questo film meno godibile.

 Bob Dylan - Life&People MagazineD’altronde, per chi volesse approfondire il tema del trasformismo del musicista, il cinema ha già dato un contributo altrettanto interessante alla sua figura ben prima di A complete unknown con Io non sono qui (I’m Not There) di Todd Haynes. A dirigere il film c’è James Mangold, reduce dal tanto atteso quanto snobbato Indiana Jones e il Quadrante del Destino, mentre nei panni di Dylan troviamo un convincente Timothée Chalamet, talmente galvanizzato dalla parte da sbilanciarsi definendola la migliore e più impegnativa prova della sua carriera.

Per calarsi nei panni del personaggio,

Chalamet ha affrontato un lungo e difficile percorso di immedesimazione che non si ferma all’aspetto fisico – i delicati lineamenti del naso dell’attore sono stati inaspriti da una protesi – ma si concentra meticolosamente anche sull’aspetto vocale. La laboriosa preparazione ha portato a dei risultati sorprendenti, grazie alla consulenza del  vocal coach delle star, Eric Vetro. Condividiamo con il lettore una nota agrodolce che ha accompagnato chi scrive in occasione della proiezione di A complete unknown nelle sale. Da dylaniati esperti e appassionati, ci siamo recati nel cinema più vicino per assistere al film nel giorno della sua uscita. Per tutto il tempo della proiezione, ci siamo guardati intorno per sondare l’affluenza e farci un’idea del tipo di pubblico.

Nella sala, non proprio gremita, spiccava la presenza di due signorine che avranno avuto si e no vent’anni

Il nostro romanticismo da vecchi e nostalgici del rock ci ha fatto provare un tuffo al cuore: chissà come e quando queste due ragazze avranno incontrato Dylan. Chissà, ci chiedevamo, quale verso senza tempo le avrà fatte innamorare al punto da spingerle al cinema per affrontare le due ore e venti di proiezione per ripercorrere quell’epopea musicale così lontana da loro nel tempo e nelle tendenze. E così, sui titoli di coda, mentre ci stropicciavamo gli occhi per l’improvvisa riaccensione delle luci, abbiamo preso il coraggio e la faccia tosta a due mani e ci siamo avvicinati alle due anticonformiste in erba, e abbiamo chiesto loro cosa le avesse portate lì quella sera. Un po’ intimidite dall’inaspettata domanda, le due si sono guardate l’un l’altra e poi, quasi all’unisono, ci hanno sussurrato sorridendo:

“Timothée è bellissimo, persino con il naso finto!”. 

Abbiamo risposto con un poco convinto “ah, certo!” e abbiamo ricambiato il sorriso celando meglio che potevamo la sensazione di scoprirci inguaribilmente romantici e anche un po’ ingenui.

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