Rubare le idee è il ’furto’ più antico della storia, soprattutto nel mondo della creatività. D’altra parte se lo stesso Picasso affermava che i bravi artisti copiano, i geni rubano, qualcuno si sarà pur sentito legittimato a farlo. E la moda, spesso celebrata come espressione di creatività, oltre che lusso, è da sempre, a tal riguardo, afflitta da un’ombra insidiosa: la contraffazione. Un fenomeno che, dagli anni ’20 e ’30 ad oggi, ha rappresentato, non solo una sfida economica per i grandi marchi, ma anche il riflesso della tensione tra esclusività e accessibilità. A far luce su questo tema di bruciante attualità è l’esposizione dal titolo “La mode en modèles. Photographies des années 1920-1930”, ospitata fino al 26 gennaio 2025 al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Una mostra che racconta l’epoca in cui la moda ha iniziato ad essere contraffatta.
L’era dell’originalità: anni ’20 e ’30
Negli anni ’20 e ’30, Parigi era il centro indiscusso della haute couture e case di moda come Chanel, Lanvin e Poiret stabilivano tendenze che influenzavano il mondo intero. Era un’epoca in cui il concetto di copyright era ancora nebuloso: la copia era una pratica diffusa, ma non del tutto condannata.
Riviste di moda e cataloghi diffondevano modelli che, anche senza autorizzazione, venivano replicati da sartorie locali. Pertanto, le fotografie esposte al museo parigino raccontano un mondo in cui il confine tra originalità e imitazione era labile. L’assenza di regolamentazioni stringenti rendeva difficile proteggere le creazioni, e il fascino di certi abiti diventava ispirazione più che plagio.
Il dopoguerra e la democratizzazione della moda
La situazione inizia a peggiorare con il boom economico del dopoguerra che portò alla nascita della moda prêt-à-porter. Così, marchi come Dior, con il suo New Look, si trovarono a fronteggiare un’imitazione più aggressiva, facilitata dalla crescente capacità industriale di produrre abiti su larga scala. Ed è stato poi negli anni ’50 e’60, che la contraffazione si è spostata dagli abiti anche verso gli accessori, in particolare borse e foulard, che rappresentavano lo status symbol più ambito.
L’età dell’oro della contraffazione: gli anni ’80 e ’90
L’affermarsi della contraffazione come un’industria parallela multimiliardaria si ha nei decenni successivi che hanno visto i loghi di maison del calibro di Louis Vuitton, Gucci e Prada diventare bersagli privilegiati di imitatori. Ma in quali Paesi avvenivano le imitazioni?
Negli anni ’80, la produzione di falsi si concentrava soprattutto in Asia, dove i costi di produzione erano bassi e i controlli meno stringenti. Questo fenomeno, inoltre, coincise con l’esplosione del consumismo, alimentando la domanda di prodotti di lusso a prezzi accessibili.
La fotografia, guardiano della moda
Tuttavia, già a partire dagli anni ’20 e ’30 la contraffazione ha incontrato una sua grande nemica: la fotografia. La mostra al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. che si inserisce nel prestigioso contesto del festival Paris Photo ed è Curata da Sébastien Quéquet, responsabile delle collezioni fotografiche del museo, ce lo racconta. Essa esplora il rapporto profondo tra moda, fotografia e proprietà intellettuale, offrendo un viaggio unico attraverso oltre 120 scatti storici in dialogo con abiti e accessori iconici di grandi creatori dell’epoca, come Jeanne Lanvin, Jean Patou, Marcel Rochas, Madeleine Vionnet, Jeanne Paquin ed Elsa Schiaparelli.
In quel periodo i couturiers comprendevano il valore della fotografia non solo come mezzo pubblicitario, ma anche come strumento di tutela. Gli scatti diventavano vere e proprie “certificazioni” visive delle creazioni, proteggendo l’autenticità delle Maison in un’epoca già segnata dal fenomeno della contraffazione. La documentazione fotografica, infatti, permetteva di fissare nel tempo la paternità dei modelli, rafforzando la posizione legale delle case di moda.
Un percorso tra stile ed estetica
Gli allestimenti della mostra riflettono l’essenza degli ateliers francesi del periodo, riproponendo l’eleganza sobria e sofisticata che caratterizzava l’estetica di creatori come Madeleine Vionnet e Paul Poiret. Spazi minimalisti si alternano a installazioni scenografiche che utilizzano giochi di specchi e dispositivi grafici innovativi per amplificare la bellezza delle creazioni esposte. Questo approccio, non solo valorizza gli abiti, ma restituisce al visitatore l’atmosfera esclusiva degli atelier d’alta moda, dove ogni dettaglio era studiato per affascinare e stupire.
Un dialogo tra epoche
“La mode en modèles” è più di una celebrazione della fotografia e della moda: è un viaggio nel tempo che pone domande attuali sul valore dell’autenticità e sulla tensione tra arte e mercato. I visitatori non troveranno solo abiti e immagini, ma un racconto articolato che svela come, già un secolo fa, la moda fosse un terreno di confronto tra originalità, emulazione e tutela.
La mostra diventa, così, un invito a riscoprire le origini di un’industria che, nonostante le sue trasformazioni, continua a custodire la memoria di un’epoca in cui l’eleganza e l’innovazione erano strumenti di un linguaggio universale: quello della moda come arte e identità. Difficile che dopo averla visitata, venga voglia di acquistare un accessorio o un abito contraffatto!