La contraffazione rientra all’interno della categoria dei fenomeni criminali complessi di carattere transnazionale, in quanto coinvolge a vario titolo numerosi attori pubblici e privati e causa una serie di conseguenze per una molteplicità di soggetti. Una delle particolarità di questo reato è la tendenza generale a sottostimare la sua serietà e la gravità. L’ultima ricerca di Rome Business School approfondisce la situazione attuale di questo reato in Italia, Paese che si conferma un grande produttore ma anche consumatore di “falsi” che però ha dimostrato da sempre una notevole sensibilità e reattività nel contrastare le imprese del “mercato del falso”.
Contraffazione Made in Italy: la Gen Z e la “dupe culture”
Parlando in particolare del settore moda, è la Generazione Z ad acquistare maggiormente prodotti “falsi” con la consapevolezza di compiere un gesto rivoluzionario che “strizzi l’occhio al vero ma ad un costo inferiore”. Sono le falsificazioni di marchi come Gucci e Rolex a detenere il primato delle vendite su social network come Tik Tok, semplicemente inserendo un hastag “fake” prima della nomenclatura del brand e aggirando in questo modo le politiche del counterfeting che permettono al social stesso di rimuovere nell’immediato del video di promozione di vendite di prodotti “dupe”, inteso come “inganno”, ma anche “credulone”; un termine che in America ha visto la nascita della “dupe culture”: giovanissimi che comprano prodotti falsi, dall’abbigliamento al beauty, trasformando l’acquisto in vero e proprio vanto.
La soluzione per aggirare il fenomeno sembra sempre ricalcare i terreni della digitalizzazione, cercando di diffondere tematiche importanti attraverso le voci dei “new indigenous influencers”, giovani e giovanissimi che hanno iniziato già da tempo a lanciare messaggi social inclusivi di sostenibilità, fluidità, autenticità, lotta alle discriminazioni, diritti dei lavoratori. Nomi come Simone Biles, Yara Shahidi, Harry Styles, Hunter Schafer, Lourdes Ciccone e Anya Taylor-Joy, già volti nuovi di alcuni tra i brand più importanti nel panorama internazionale. L’educazione ai temi più sensibili sembra quindi essere la strada più sicura verso un futuro di consapevolezza ed etica dell’acquisto.
Proteggersi con la blockchain: il caso di Prada, il gruppo LVMH e Louis Vuitton
A capirlo anche “les grand group deluxe” che hanno deciso di unirsi e di aderire alla nuova tecnologia della blockchain attraverso la nascita di un “blockchain consortium” in cui il processo di consenso tra i vari nodi (chain) avviene in modo democratico tra le parti (block). Uno tra tutti, “The Aura Blockchain Consortium” di cui fanno parte aziende come Prada, il gruppo del lusso LVMH, The OTB, Louis Vuitton, Cartier, Richemont che permetterà al consumatore di sapere la storia dei prodotti che andrà ad acquistare, di seguirne la tracciabilità, di conoscerne l’autenticità così come tutta la filiera produttiva.
Una strategia concreta per combattere la commercializzazione del falso soprattutto di brand Made in Italy. Altro esempio importante in questo settore è rappresentato dall’azienda italiana “3rand Up Solutions”, i cui servizi rappresentano una soluzione per l’anticontraffazione ed il consumer engagement, garantendo l’origine e la tracciabilità dei prodotti legati alle aziende che operano nei settori più vulnerabili del Made in Italy, specialmente in ambito Fashion&Luxury e Manufacturing.
L’arte italiana: merce protagonista della contraffazione
Invece spostandoci nel mondo dell’arte, anche se l’Italia siede in cima alle classifiche globali per numero di siti UNESCO e per il ‘Cultural Influence Ranking’, questo è un primato che si rivela come un giano bifronte: l’Italia è il primo paese per furti d’arte al mondo e quinto per il valore del mercato nero generato dalla contraffazione. Questa ricca tasca che perde denari è generosa, preoccupante, in crescita e laterale: basti pensare che ogni giorno, in Italia, vengono vendute 4 opere contraffatte, dapprima quasi unicamente nel mercato fisico ma oggi anche sul web. La maestria in questa ‘arte’ è tale, che persino i musei soffrono infatti di un indice di opere contraffatte esposte che può variare dal 20 al 50% del totale.
La lotta smart contro il mercato nero
La contraffazione dell’arte è dunque un problema pandemico, crescente e che ha trovato la complicità di sistemi come la rete. Dalla stessa, tuttavia, provengono soluzioni smart per l’identificazione, accerchiamento e contenimento del fenomeno. In primis viene in soccorso la blockchain, seguita da un’idea tutta italiana: DNArt, un sistema che miscela i dati delle opere in un liquido trasparente che viene poi riportato sullo stesso corpo dell’opera e che è decifrabile solo da alcuni lettori autorizzati. Nel mercato della contraffazione italiana, dunque, viaggiano parallele realtà di creazione, e altrettante realtà di contraffazione.
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