Si tocca con le mani, si ascolta con l’udito e si percorre a piedi scalzi la mostra interattiva di Ernesto Neto, in calendario al Maat di Lisbona fino al 7 ottobre. Ancor prima di varcare la soglia del Museo d’Arte, Architettura e Tecnologia lisbonese, giunge all’orecchio un penetrante rombo di tamburi e percussioni. Discesa la rampa ed entrati nella sala a ellissi del museo avanguardista, la vista spazia dal bianco abbacinante dei volumi architettonici alle vivacissime installazioni artistiche di Ernesto Neto. Occupano interamente le dimensioni del luogo e sono realizzate in chintz: un tessuto di cotone relativamente economico, estremamente comune in Brasile, spesso stampato con fiori e piante dai colori vivaci. Il tessuto è stato tagliato in strisce e lavorato all’uncinetto da vari assistenti, sulla base di una tecnica sviluppata negli anni nello studio dell’artista a Rio de Janeiro: l’atelienave.
L’arte come intreccio di trame, culture, colori, suoni
Nel quartiere di Belém, in un luogo fortemente intriso di storia e simbolismo, dove più di cinquecento anni fa salparono le caravelle alla conquista delle Americhe, Ernesto Neto ha realizzato una delle sue sculture più imponenti. La forma, ottenuta in mesi di lavoro, simboleggia un immenso nido primordiale composto da reti da pesca colorate, vele e corde. Nosso Barco Tambor Terra – letteralmente, la nostra barca tamburo terra – evoca l’incontro e l’incrocio fra culture di diversi continenti.
Dall’immensa installazione pendono strumenti a percussione che il pubblico può toccare, suonare e maneggiare a piacimento, producendo una varietà di suoni, spontanei e improvvisati, simile a una babele linguistica. I visitatori possono inoltre fruirne a piedi scalzi, calpestando un pavimento lastricato di cortecce naturali, che frùscia sotto i piedi e ricorda l’ininterrotto legame tra uomo e natura. Il contatto fisico, il suono che le dita delle mani e dei piedi produce accostandosi ai materiali e agli strumenti musicali diventa esso stesso complementare e parte integrante dell’arte di Neto.
Comunicare con i linguaggi dell’arte, della musica e della condivisione
Considerato uno degli artisti brasiliani più noti e internazionali, Ernesto Neto abbraccia la multidisciplinarietà anche nella vita privata: parallelamente alla sua attività di artista si dedica alla musica e allo studio delle percussioni. Una passione trasferita anche alla scultura, periodicamente resa interattiva da un programma musicale, ideato da musicisti e gruppi provenienti da tutti i continenti, con particolare attenzione ai ritmi delle diaspore africane e asiatiche.
Simbolicamente, l’incontro di ritmi e battiti in Nosso Barco Tambor Terra forma un contrappunto alla moltitudine di lingue parlate nel mondo, alludendo alla possibilità di trovare, in momenti e contesti specifici, linguaggi comuni che consentano una comunicazione che trascenda il verbale e faciliti incontri autentici e profondi. Incontri d’arte e musica aperti a tutti, con la collettività che ha accesso agli strumenti disseminati nella stessa mostra e può suonarli in maniera personale, autentica, diversificata.
La cifra stilistica di Ernesto Neto
Unire il diverso può essere considerato il filo conduttore dell’espressione artistica di Ernesto Neto, cercare di andare oltre la superficie, oltre la pianura, il significante e il significato; cercare di essere dentro il corpo, unendo il piano fisico, mentale, spirituale e ancestrale. Così la sua arte diventa relazionale, simbiotica, mutualistica, multinaturale. Un’arte che nasce nella saggezza delle dita, desidera toccare ed essere toccata, scambiare percezioni, emozioni, concetti attraverso i polpastrelli.
E che cerca continuamente il contatto con la natura, anche con arti meno abituati al contatto fisico, come i piedi lasciati nudi e liberi di connettersi ai materiali naturali e di conseguenza al creato. La musica come energia inclusiva che sfrutta la forza vibrante del tamburo, del caxixi, del flauto, della chitarra, della maraca e del canto. L’intera installazione come luogo di condivisione e interattività, ciascuno col proprio ruolo, tutti interdipendenti gli uni dagli altri. Nell’arte come nella vita e sul pianeta.