Il tema della moda sostenibile coinvolge vari aspetti del dibattito globale e non si limita alle dinamiche di settore. Tuttavia, permangono le contraddizioni e, all’atto pratico, le abitudini consumistiche sono erose solo per un’infinitesimale parte da quelle virtuose. Tutto potrebbe cambiare, però, con l’introduzione di un passaporto digitale per i capi in grado di rendere completamente tracciabile la filiera di produzione; il consumatore informato, a questo punto, modificherà il suo modo di fare shopping?
Moda sostenibile: i problemi attuali
Perché si fatica tanto a rendere la moda sostenibile? Una delle prime cause è la mancanza di consapevolezza che, per il consumatore finale, significa non sapere mai realmente quanti indumenti siano prodotti e commercializzati in tutto il mondo. Cifre astronomiche che si attestano intorno ai 150 miliardi di capi nell’arco di un solo anno, cui fa seguito un altro dato preoccupante.
L’abbigliamento venduto equivale al 70% – 80% del totale: ciò che resta imbocca vie tortuose, non segnalate e, quindi, oscure. Nella maggior parte dei casi finisce in gigantesche discariche nel terzo Mondo, in particolare in Africa. Qui, oltre ad inquinare, il materiale viene saccheggiato dalle poverissime popolazioni locali: la collezione Discard Theory Primavera Estate 2023 del designer africano Thebe Magugu vincitore del prestigioso LVMH Prize – verte proprio su questo tema.
Mancanza di etica
Anche per il Made in Italy la sostenibilità non è per niente fattore sottinteso, nonostante rimanga osannato per la sua alta qualità e per le lavorazioni artigianali. Gran parte delle produzioni non avvengono sul territorio italiano, non sono tracciabili e possono causare gravi danni ambientali, ovviamente senza alcuna logica di circolarità. Una situazione destinata a peggiorare se si contano anche i ricavi in crescita dei colossi del fast fashion, come Shein e Temu.
L’industria della moda, tuttavia, sembra essere sempre più alle strette: sia per reale interesse ambientale e sociale, sia per motivi di marketing – legati al clamore intorno alla sostenibilità cara alla Gen Z – deve cercare un’autoregolamentazione e una maggiore trasparenza, soprattutto per ciò che riguarda la sovraproduzione. Quest’ultima, spesso, è anche causa di gravi crisi finanziarie per i brand e, al tempo stesso, la perenne domanda spinge l’utente finale a comprare senza limiti abbigliamento che non indosserà mai.
L’introduzione del passaporto digitale
Quello che, si crede, rappresenterà il primo passo verso un reale cambiamento, sarà introdotto dal 2027 grazie all’Unione Europea, all’interno della Strategia per il tessile sostenibile e circolare. Si tratta, in sostanza, dell’adozione del Digital Product Passport – o DDP – per tutta la produzione legata alla moda, alla pelletteria e al tessile.
Il cosiddetto Passaporto Digitale – probabilmente un QR Code o un chip integrato nel capo consultabile “a vita” dopo l’acquisto e l’uso – dovrà comunicare agli acquirenti i dati produttivi, i materiali di composizione, la reale provenienza, il consumo di anidride carbonica e di acqua necessari per la realizzazione dell’indumento finito ed, eventualmente, altri dati specifici.
I vantaggi del DPP per i consumatori
Le informazioni presenti del DPP, o Passaporto Digitale, saranno inerenti l’intero ciclo dei capi d’abbigliamento, dimostrandosi utili soprattutto in due casi: incentivarne il riuso “fai da te” e la nuova immissione nella filiera di recupero e riciclo, qualora risultassero invenduti. I consumatori, in questo modo, saranno meno esposti alle manipolazioni del business e del greenwashing, in cui molti brand cadono tuttora, con maggiore o minore coscienza.
Anche se, per il momento, non sono definiti con certezza tutti i dettagli relativi all’evoluzione del DPP, sembra che la road map prevedrà – entro il 2030 – per tutta la produzione tessile immessa sul mercato una maggiore durevolezza, riparabilità, etica, tracciabilità, riciclabilità e salubrità rispetto alle sostanze tossiche più nocive per l’uomo presenti nelle fibre degli indumenti.
Passaporto digitale: cosa comporta per le aziende?
La raccolta dei dati necessari per costituire il Passaporto Digitale è laboriosa e complessa. Per tale motivo, ci sono aziende che stanno già sperimentando il sistema e società software che le aiutano a sviluppare valore, facilitando tali operazioni. Con il DPP i brand possono ottenere anche nuove opportunità di differenziazione rispetto alla concorrenza, puntando sull’innovazione. In Italia, le realtà che permettono al consumatore di conoscere tutto il percorso del capo acquistato in negozio, oppure online, sono numerose: dalla startup che coinvolge maestranze della Tanzania Endelea al marchio Dondup, fino a RiFò, una delle prime aziende nazionali ad incentrare il proprio business su lana e tessuti riciclati con passaporto di sostenibilità.