Un banco dei pegni in fallimento, un bazaar confusionario pieno di oggetti, opere d’arte e documenti storici: si presenta così “Monte di Pietà”, la mostra concepita e realizzata da Christoph Buchel, aperta al pubblico fino al prossimo 24 novembre, in concomitanza con la Biennale Arte 2024. La scelta della sede dice tanto dell’esposizione, un’enorme installazione immersiva ideata dall’artista, già noto per le grandi istallazioni concettuali. Il palazzo settecentesco Ca’ Corner della Regina, infatti, è sede del “Monte di Pietà di Venezia dal 1834 al 1969: dal 2011, poi, è diventato spazio permanente della Fondazione Prada.
Biennale Arte 2024: Buchel lancia la provocazione della svendita nello storico palazzo del banco dei pegni veneziano
L’intera esposizione sfrutta la struttura architettonica dell’antico edificio: in particolare, nel piano terra, mezzanino e primo piano nobile. Lo spettatore si trova davanti ad un banco di pegni in fallimento, in quel contesto che fu proprio del Monte di Pietà di Venezia. Qui, come su un set cinematografico, Christoph Buchel mette insieme nuove creazioni e installazioni realizzate in precedenza: una sorta di selezione di documenti e testimonianze legati alla storia del palazzo e alla sua attività. Insieme alle storie di ciascuna persona rappresentate dai singoli oggetti presentati al pubblico, viene costruito un percorso che porta lo spettatore a ragionare sui concetti di proprietà, debito, credito e a quello di ricchezza, che sia reale o artificiale. E’ il debito, con ogni probabilità, il tasto più dolente della natura umana, secondo Buchel.
Ed è proprio il debito che ha legato nella storia poveri e ricchi
dando la possibilità a questi ultimi di esercitare il potere vantato per secoli. In questo contesto è esposta anche l’opera “The Diamond Maker” del 2020: una valigia che contiene all’interno diamanti realizzati in laboratorio. Sono proprio i diamanti il risultato di trasformazione che Buchel ha sempre evidenziato nella sua produzione artistica. Quelli dell’opera in questione sono stati prodotti da Algordanza AG, un’azienda svizzera che realizza diamanti della ‘memoria’. “Monte di Pietà” è un’esposizione che lega insieme la città Venezia, storicamente crocevia di scambi commerciali, artistici e l’arte contemporanea.
Non è un caso che l’esposizione sia stata aperta al pubblico in modo contestuale alla Biennale d’Arte
A strizzare l’occhio a quanti ne vogliono intravedere il legame ci sono cartelli sulla facciata di Ca’ Corner della Regina: “Fuori Tutto”, “Liquidazione Totale”, “Vendesi” sono sfacciatamente le provocazioni che Buchel lancia al pubblico in riferimento all’attuale fare artistico. Lo scenario della mostra appare surreale, molto diverso dalle mostre di arte contemporanea, notoriamente studiate, soprattutto da un punto di vista museografico. Buchel ribalta l’ordine, trasformandolo in caos in un contesto angosciante che rilancia al fallimento umano, dove lo spettatore ha difficoltà persino a muovere i suoi passi all’interno del percorso espositivo. E’ come se l’artista volesse profanare quello spazio ‘sacro’ generalmente assegnato agli artisti contemporanei.
In questo contesto, Buchel punta il dito contro le dinamiche economiche legate all’arte
La cultura diventa una merce, fagocitata dai turisti e il perdente in questo gioco delle parti è soltanto l’uomo. Lo scambio quindi è l’azione legata al commercio e al mercato: ecco perché i cartelli “Fuori Tutto”, quelli della svendita. Questa di “Monte di Pietà” non è a prima provocazione di Buchel; già per la Biennale d’Arte nel 2015 l’artista svizzero ha premuto questo tasto. In quella circostanza aveva trasformato una chiesa di epoca bizantina in una moschea.
L’installazione fece scalpore oltre a sollevare numerose polemiche perché era un momento storico in cui si discuteva sulla necessità di realizzare luoghi di culto anche per le comunità islamiche. Allora era la chiesa di Santa Maria della Misericordia, a Cannaregio del XIII secolo, poi sconsacrata e acquistata da privati. Fu proprio in collaborazione con gli islamici veneziani che l’artista svizzero decise di porsi in un dibattito politico locale, trasformando la chiesa in una moschea durante i sei mesi della Biennale.