Da un lato l’oscurità, l’inquietudine delle ombre, la presenza di creature enigmatiche, dall’altro un’esplosione di colori, pennellate, segni grafici: due modi diversi per esprimere il proprio sguardo sul presente; due mostre da non perdere a Venezia durante la Biennale 2024. Punta della Dogana e Palazzo Grassi, sedi veneziane della prestigiosa Pinault Collection, ospitano due tra gli artisti più rappresentativi della contemporaneità: Pierre Huyghe e Julie Mehretu.

Pierre Huyghe, Liminal: un viaggio distopico oltre l’umano a Punta della Dogana

Un personaggio misterioso, dalla forma umana, ma spogliato di tutto, ci accoglie in una dimensione in cui limiti di spazio e tempo sembrano annullarsi. Nel buio fitto, surreale e a tratti destabilizzante, un enorme schermo ci mostra la figura dalle dimensioni titaniche che ci viene incontro, senza cervello e senza volto, che lascia il posto ad un buco nero. Il nostro primo incontro è con Liminal, la nuova creatura di Pierre Huyghe, da cui prende il nome la mostra visitabile fino al 24 novembre a Venezia. Uno dei progetti più ambiziosi dell’artista parigino che, tra opere inedite frutto della sua recente ricerca e lavori degli ultimi 10 anni, è riuscito a trasformare le sale di Punta della Dogana in un luogo altro, popolato da creature enigmtiche, in grado di dialogare con il visitatore.

mostre venezia biennale 2024 | Life&People Magazine

OLA RINDAL © PALAZZO GRASSI, PINAULT COLLECTION

Senza appigli per un orientamento rassicurante, si procede a tentoni in uno spazio liminale, tra reale e immaginario, per compiere un viaggio verso l’ignoto costellato dall’incontro di personaggi e narrazioni che si completano e prendono forma anche attraverso la presenza dello spettatore, reso partecipe di un mondo in evoluzione. L’indagine di Pierre Huyghe, tra i nomi più noti del panorama artistico internazionale contemporaneo, è sempre stata volta al rapporto tra l’umano e il non umano, all’interazione tra differenti forme di vita, oggetti inanimati e tecnologie attraverso installazioni, film, progetti collettivi e performance realizzati a partire dagli inizi degli anni Novanta fino ad oggi.

Proseguendo il percorso, nelle sale echeggia un suono straniante

È Idiom (2024) una lingua che si autogenera durante tutto il periodo della mostra, attraverso maschere intinte nell’oro capaci di registrare gli stimoli esterni, indossate da performer che si aggirano osservandoci nelle sale. I sensori applicati alle maschere captano e ibridano grazie all’intelligenza artificiale i rumori, le voci, i suoni prodotti dai visitatori per creare un idioma inedito che si costruisce, cambia e si trasforma in un ambiente in continua evoluzione. Idiom incarna l’ardente desiderio di oltrepassare le barriere tra uomo e tecnologia, sfidando audacemente le nostre convinzioni attraverso un intrigo di misteri e mascheramenti, che inquieta e seduce.

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OLA RINDAL © PALAZZO GRASSI, PINAULT COLLECTION

E ancora, lo spettatore è messo alla prova di fronte all’impossibilità di sfuggire dalla moderna condizione dell’esistenziale umana con la visione di Human Mask (2014), una delle opere più emblematiche di Pierre Huyghe. Nel filmato, ambientato in un’imprecisata città deserta nel distretto di Fukushima all’indomani della catastrofe nucleare del 2011, una scimmia elegantemente vestita e ornata da una maschera femminile, si muove con grazia all’interno di un sontuoso ristorante abbandonato, impegnata a servire clienti immaginari ripetendo gesti da automa svuotati di ogni finalità ed empatia.

Julie Mehretu, Ensamble: l’arte come insieme a Palazzo Grassi

Un’altra visione del mondo, astratto e ricco di contaminazioni, è quella che ci restituisce Ensamble, ospitata a Palazzo Grassi fino al 6 gennaio 2025. Una retrospettiva dedicata a Julie Mehretu, ma anche un ritratto collettivo di una comunità artistica in dialogo costante.

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COURTESY MARIAN GOODMAN GALLERY, HAUSER & WIRTH, ESTHER SCHIPPER, AND TARO NASU © PIERRE HUYGHE

In mostra infatti non solo i dipinti e le stampe di Julie Mehretu, ma anche le opere di alcuni amici artisti, con i quali l’artista etiope-statunitense condivide una forte affinità intellettuale ed emotiva. Le sculture primitive in sughero di Huma Bhabha, i body prints di David Hammons, le sculture lignee e quasi cristiche di Paul Pfeiffer e i lavori di altri artisti come Nairy Baghramian, Robin Coste Lewis, Tacita Dean e Jessica Rankin si richiamano visivamente e per comunanza di concetti nelle diverse sale, dialogando con le composizioni astratte di Julie Mehretu, intrise di tracce, segni, idee complesse e stratificate. La storia dell’arte, la sociopolitica, la geografia, l’attualità e la vita privata sono i riferimenti dell’artista, che sceglie il linguaggio dell’astrazione per toccare temi come le lotte civili e sociali, le guerre, i movimenti rivoluzionari, dei quali possiamo percepire solo sensazioni, emanate dalla tela.

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