Prima una sartoria semplice, poi l’evoluzione verso qualcosa di molto più audace e contemporaneo. Nel mezzo tanta, tantissima bellezza. Da oggi la meraviglia di una delle maison francesi più importanti del mondo è sintetizzata in un libro: “Givenchy Sfilate“, monografia edita da L’Ippocampo in cui si ripercorre, per la prima volta nella storia del brand, il percorso integrale della casa di moda fondata nel 1952.
Quasi 180 collezioni per analizzare lo sviluppo della Maison
Il volume, curato dallo storico della moda Alexanders Samson a quattro mani con il critico Anders Christian Madsen, raccoglie 179 collezioni dalle origini ad oggi, offrendo l’opportunità di mettere in rapporto l’idea di base del fondatore Hubert de Givenchy con i suoi successori, analizzandone innovazioni, citazioni, tonfi e successi.
Il risultato? 1200 pagine che vanno ad arricchire un’opera omnia ripercorrendo tutte, ma proprio tutte, le creazioni del marchio, esaltando i cambiamenti apportati dai vari Direttori Creativi che si sono susseguiti nel corso del tempo: da John Galliano a Riccardo Tisci, arrivando fino agli ultimi Clare Waight Keller e Matthew Williams.
Il sogno di Hubert e l’icona Audrey Hepburn
Le prime pagine raccontano cronologicamente gli albori della maison, con tutte le creazioni sognanti che hanno fatto entrare Givenchy nel mito grazie a modelli contraddistinti da una semplice ma raffinatissima eleganza: tra gli altri sono da ricordare ad esempio la celeberrima blusa Bettina, camicia bianca ornata da volants dal gomito al polso, oppure le linee a sacco e le gonne a palloncino che hanno stregato vere e proprie istituzioni come la Regina Elisabetta II, Marlene Dietrich, la Principessa Grace e Jacqueline Kennedy.
Ampio spazio è poi riservato ovviamente ad Audrey Hepburn, divenuta la vera musa del fondatore con abiti rimasti impressi nella storia del grande schermo e non. Basta ricordare in tal senso quello realizzato per la Notte degli Oscar 1954, entrato nell’iconografia mondiale, oppure il famoso capo indossato dalla star in occasione del film “Colazione da Tiffany”.
Il contributo degli altri Direttori Creativi
Interessante notare l’apporto degli altri creativi che, dopo l’addio del fondatore nel 1995, hanno messo al servizio la loro cifra stilistica dando così un nuovo volto al brand. Il primo a riuscirci fu John Galliano, rimasto al comando di Givenchy per due stagioni, susseguito poi da un altro big della moda, Alexander McQueen, il cui debutto fu segnato da una sfilata costellata da abiti in oro in draping, liberamente ispirati ai costumi della Grecia antica. Un trionfo di bellezza all’epoca accolto in modo critico sia dai giornalisti che dai buyer, salvo poi essere apprezzata anni dopo (fino ad essere copiata in tutto e per tutto).
Ampio spazio è poi riservato alla cosiddetta “golden age” del brand, caratterizzata dalla gestione trionfale di Riccardo Tisci (rimasto in carica dal 2005 al 2017), il quale con coraggio trasforma la maison in uno stile molto più particolare, allontanando il classicismo, sostituendolo con un imprinting molto più gotico e utilizzando come punto di riferimento anche elementi religiosi, barocchi e la simbologia animale. Per la prima volta a distanza di quasi cinquant’anni, Givenchy dopo Audrey Hepburn torna ad essere così uno dei marchi più amati dello star system, vestendo personalità influenti come Julia Roberts, Madonna, Cate Blanchett e Beyoncé, avviando inoltre una collaborazione con l’artista contemporanea più famosa di sempre: Marina Ambramovic.
Un legame, mai spezzato quella tra Givenchy e la celebrity culture, portato avanti dai successori di Tisci come Clare Waight Keller, designer che ha realizzato l’abito da sposa di Megan Markle. Oggi invece la maison è in mano a Matthew M. Williams, stilista che sta riprendendo gli stilemi classici del fondatore Hubert riproponendoli in una chiave più contemporanea. La storia continua.
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