Se si volesse dare un volto al giornalismo più vero, che non mente, che scava, che va contro tutti e tutto, quel giornalismo che graffia ‘spietatamente’, sarebbe quello di una donna, incorniciato da capelli scuri con riga al centro, talvolta raccolti in trecce, ed occhi grigio-azzurri marcati da un deciso eyeliner dall’eleganza senza tempo. Se poi quel viso, assorto nei pensieri, fosse poggiato su una mano, questa avrebbe certamente una sigaretta fra le dita ed uno smalto rosso sempre impeccabile. Un volto indimenticabile, diciassette anni dopo la sua scomparsa, quello ritratto dalla biografia di Oriana Fallaci.
Storia di una giornalista, reporter di guerra, scrittrice,
è stata tutto ciò e molto altro, ed ancora oggi non si potrebbe che raccontarla attraverso le sue stesse parole, le uniche, forse, all’altezza di farlo. Dunque, cercando di far tesoro di una delle sue più brillanti e ironiche citazioni, per scrivere una biografia della Fallaci bisognerebbe farlo «in stile minigonna, cioè in modo abbastanza lungo da coprire l’argomento e abbastanza breve da renderlo interessante». Una frase, che non fa una piega, capace di racchiudere tutta l’intelligenza, la femminilità, l’eccezionale senso dell’umorismo, ma anche quella provocazione pungente che, insieme ad una forte determinazione, ha contraddistinto la vita e la carriera della Fallaci.
Le origini e la carriera giornalistica
Da bambina voleva fare la scrittrice, voleva e non ‘sognava’, perché aveva i piedi ben piantati nella realtà e non in un mondo di sogni. Una realtà cruda che ha conosciuto sin da adolescente partecipando, a soli quattrodici anni, alla Resistenza Partigiana con suo padre. Un eroe per Oriana Fallaci, un artigiano diventato leader del movimento antifascista in Toscana nella vita di tutti i giorni. Edoardo Fallaci, questo il suo nome, aveva sposato la figlia orfana di un anarchico dando alla luce, il 29 giugno 1929, colei che sarebbe diventata la reporter di guerra e scrittrice italiana più nota di tutti i tempi. Ce l’aveva nel sangue, quindi, lo spirito di ribellione l’autrice di “Un uomo” così come era affamata di verità al punto da ‘divorare’ chiunque intervistasse con domande incalzanti, molto spesso definite aggressive.
Una rabbia che non resta ingiustificata
se si considera che quegli occhi grigio-blu avevano visto la guerra da vicino e non erano riusciti a darsi una spiegazione valida a tante morti e massacri. Ma in questo scenario di distruzione la Fallaci non ci era finita per caso, bensì se l’era cercato in certo senso, intorno agli anni Sessanta, stanca di raccontare solo la vita mondana. Perché è da quest’ultima che aveva cominciato, quando, all’età di diciassette iniziò a scrivere per “Il Mattino dell’Italia Centrale” e, nel 1948, sullo stesso giornale, apparve un suo articolo in cui descriveva una sfilata di Dior.
<< Un bel giorno, non si sa come, non si sa perché (ma è lecito fare domande simili agli ordini del sarto?), per più di un quarto di mondo si sparse una voce: stavano per tornare di moda i vestiti delle nostre nonne…>>.
Era questo l’incipit con cui la giovanissima giornalista aveva esordito la sua cronaca di moda lasciando intuire che quella verve avrebbe presto portato la sua firma su ben altre pagine.
Una reporter di guerra
Infatti, dopo essere stata una delle penne de L’Europeo, prima a Roma intervistando divi italiani e stranieri, da Mastroianni a Fellini, e poi negli Stati Uniti per svelare segreti di personaggi di spicco della politica e dello spettacolo, la sua vita cambiò direzione. Una direzione sempre più pericolosa ma sempre alla ricerca della verità, perché era questa che la reporter toscana voleva raccontare. <<Tutte le volte che si cerca di raccontare la verità si è tacciati di cattiveria, poi quando si ha la fama dei cattivi lo si è anche se si scrive che il cielo è azzurro>>, aveva confidato ad Ugo Zatterin durante un’intervista nel 1961.
E quella verità poteva narrarla solo scoprendola di persona, ragione che la spinse nel ’67 a partire per seguire i conflitti in Vietnam, in Libano per poi approdare a Città del Messico. Qui la Fallaci, in uno scenario bellico e devastato dagli scontri armati tra polizia e movimenti studenteschi, fu anche colpita e visse guerra e morte sulla propria pelle. E di guerra ha scritto in “Niente e così sia” un diario molto intenso, pubblicato nel ’69, in cui forse è racchiuso il ‘segreto’ del carattere così ‘aggressivo’ delle sue interviste.
I libri di Oriana Fallaci
Metteva in ginocchio, a colpi di spietate domande, personaggi politici ed istituzionali di tutto il mondo, momenti talmente memorabili da essere stati poi raccolti in “Intervista con la Storia”, libro pubblicato nel ’74. Incisivo fu il suo intervento, due anni dopo, in un dibattito sull’aborto nell’ambito di una puntata di “AZ: un fatto, come e perché” in cui affermava che <<la guerra è un infanticidio rinviato di vent’anni>> in risposta alla legge che avrebbe impedito ad una donna di interrompere volontariamente una gravidanza.
D’altra parte, a consacrarla come scrittrice fu “Lettera a un bambino mai nato” (1975), autobiografica confessione di una donna libera sul tema gravidanza, a cui fece seguito, nel 1979, la pubblicazione di “Un uomo” (1979). Alle pagine di questo manoscritto la Fallaci ha affidato il racconto del suo grande amore per Alexandros Panagoulis, tra i protagonisti della resistenza greca, morto in un sospetto incidente automobilistico ad Atene tre anni dopo il loro incontro. Pagine di vita, intrise di quell’avventura che per la scrittrice e giornalista rappresentava l’essere donna, un’avventura che, come lei stessa spiegava a ‘quel bambino mai nato’, richiede un tale coraggio ed è una sfida che non annoia mai.