“Non mi riconosco nel registro bellico, in parole come lotta, guerra, trincea. La guerra presuppone sconfitti e vincitori. Io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente”. Bastano queste poche parole, legate alla sua malattia, per capire chi era Michela Murgia, una delle scrittrici italiane più brillanti scomparsa il 10 agosto all’età di 51 anni dopo un tumore ai reni. Una mente colta, dal grande acume, capace di catalizzare con estrema intelligenza un pubblico molto ampio e variegato colpito da uno spirito libero e dal suo impegno attivista e femminista.
Una comunicazione lucida
La scrittrice aveva comunicato pubblicamente la sua malattia soltanto a maggio scorso, dichiarando di avere un tumore in stato avanzato, precisamente al quarto stadio. Qualcosa definito da lei come un “punto di non ritorno”, fattore che l’ha spinta a compiere gesti molto importanti, come quello di sposarsi civilmente con il compagno Lorenzo Terenzi malgrado si sia sempre ritenuta contraria all’attuale istituzione del matrimonio, da lei sempre definito patriarcale e limitato.
Negli ultimi anni della sua vita ha svelato la sua concezione di famiglia. Una famiglia queer, dal nucleo atipico, dove le relazioni contano più dei ruoli canonici imposti dalla nostra società e dalla nostra tradizione. Proprio per questo motivo alla cerimonia tutti i partecipanti hanno indossato un abito bianco, come se fossero tutti sposi.
Un talento puro
Nata a Cabras, nella provincia di Oristano in Sardegna, dopo ad aver frequentato l’istituto tecnico commerciale Murgia si occupa di diversi lavori prima di tuffarsi nel mondo della scrittura. Per alcuni anni svolge l’attività di insegnante di religione, per poi impegnarsi anche come venditrice, operatrice fiscale, dirigente amministrativa in una centrale termoelettrica e portiera notturna.
Non a caso il suo primo libro, “Il mondo deve sapere”, pubblicato nel 2006, raccontava una professione da lei svolta. Lo scritto infatti, concepito sotto forma di diario, parlava di una dipendente di call center del gruppo di aspirapolveri Kirby. L’opera, molto apprezzata, colpisce particolarmente Paolo Virzì, il quale prende spunto per realizzare un film, “Tutta la vita davanti”, uscito poi nel 2008. Sarà a tutti gli effetti il preludio dell’exploit di Michela Murgia che, nel 2009, pubblica il suo romanzo più famoso, “Accabadora”, storia di una bimba affidata a una donna che, secondo la tradizione, si occupava letteralmente di portare alla morte persone di qualsiasi età, nel caso fossero agonizzanti. Il libro, ricco di frasi ancora oggi ricordate e condivise sui social, vince il Premio Campiello, uno dei riconoscimenti letterali più importanti.
Fede e femminismo
Nei suoi scritti Murgia è sempre riuscita a inserire la sua personale visione del mondo. In tal senso, uno dei libri più rappresentativi e per certi versi complessi tra quelli pubblicati è certamente “Ave Mary”, testo del 2011 in cui unisce la sua formazione cattolica con quella del femminismo, offrendo una rilettura della Vergine Maria e gettando le sue basi sulla critica al patriarcato che contrassegneranno gli anni successivi.
La scrittrice infatti ha sempre denunciato la condizione – che la identificava – maschile che ha fondamentalmente dominato nell’immaginario e nel linguaggio quotidiano, relegando così al femminile un ruolo comprimario e minoritario. Tra le sue ultime grandi battaglie spicca quella relativa all’uso della schwa, fonema utilizzato nei suoi scritti proprio per non optare per il maschile sovra esteso, considerato non inclusivo in quanto pretende di raggruppare al suo interno anche il genere femminile. Amata da tantissimi, ma contestata anche da molti proprio per un approccio rivoluzionario e controcorrente, Michela Murgia lascerà in eredità il coraggio di aprirsi, di schierarsi, di dire sempre la propria opinione a qualsiasi costo, fronteggiando qualsiasi tipo di shitstorm e di polemica. Michela ci ha donato proprio questo: il coraggio di essere, in qualsiasi contesto, se stessi, e di sostenere le proprie idee e i propri ideali fino alla fine.
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