La storia delle scarpe tabi sorprende, divide e affascina. Dalla rivisitazione del tradizionale calzino giapponese, ad accessorio cult sinonimo della casa Margiela, le tabi sono molto più di un indicatore di status; rappresentano una filosofia, un’idea di moda, la cui influenza appare oggi più attuale che mai.
Le origini delle tabi
All’origine dell’iconica scarpa dalla stranissima punta a zoccolo c’è un semplice calzino di cotone, con un twist. Infatti, nella tradizione giapponese i calzini, tabi, in origine si caratterizzavano per la divisione tra l’alluce ed il resto delle dita. Questo accessorio è indossato ancora oggi da uomini e donne con i più formali sandali zōri, in paglia, stoffa o in altri materiali sintetici, ed i geta, a metà tra zoccoli ed infradito e riservati a momenti più casual. Sembra che la parola tabi rievochi “un lembo di pelle” e pare che, associati al loro uso, ci siano benefici alla colonna vertebrale e all’apparato digerente, grazie al contatto con i “meridiani” dell’agopuntura (punti specifici situati tra le dita che, se adeguatamente trattati, favoriscono l’equilibrio dell’energia ed il benessere).
Jika-tabi
Eppure, il merito di aver inventato i predecessori dei moderni tabi boots va a due uomini d’affari giapponesi, i fratelli Ishibashi, fondatori di una multinazionale di pneumatici chiamata Bridgestone. Le jika-tabi sono caratterizzate da una suola in gomma che le ha trasformate in vere e proprie calzature. Tipiche scarpe da lavoro, perfino la forza navale giapponese le indossò come parte della propria uniforme, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Martin Margiela
Prima della rivoluzionaria sfilata Spring Summer 1989, le tabi di Margiela fecero il loro debutto negli spazi di Boutique Coccodrillo, fondata dai pionieri della moda Geert Bruloot and Eddy Michiels, ad Anversa. Proprio Geert Bruloot ebbe, tra l’altro, il merito di introdurre Martin Margiela ad un artigiano italiano di nome Zagato, che accettò di produrre quel design innovativo e a dir poco bizzarro, laddove molti prima di lui avevano rifiutato. “La mia ispirazione era ancora molto accademica a quei tempi”, affermò Margiela in una delle rare interviste concesse dal designer, contenuta nel libro Footprint: The Track of Shoes in Fashion.
Lo stile British, la giustapposizione di modelli maschili su scarpe femminili, con tacchi grossi di lato e sottili da dietro, i materiali e le finiture, tutto richiamava le calzature tradizionali da uomo. Queste nuove scarpe dimostrarono immediatamente il loro potenziale dirompente, al punto che la loro prima acquirente fu Anne Demeulemeester, parte del collettivo di designer divenuto celebre con il nome “I sei di Anversa”.
La P/E 1989: le tabi entrano nella storia
Lo show inaugurale per la primavera estate della collezione donna Martin Margiela sfumò i contorni tra moda e performance art e segnò il passaggio alla storia delle scarpe tabi. La passerella immacolata si tinse di rosso sangue, con le impronte delle modelle che indossavano tabi ricoperte di vernice. Il designer voleva che le sue nuove scarpe catturassero l’attenzione, che venissero notate dal pubblico, e così quella scia di zoccoli, mitologico prodotto della gestazione di moda, arte, tradizione e genio, lasciò letteralmente il segno. Come si può immaginare, lo show e le scarpe che ne furono protagoniste suscitarono clamore, ancora oggi c’è chi le definisce” unapologetically ugly”, sfacciatamente brutte. Eppure come rivelò il loro creatore, “dopo diverse collezioni la gente ha iniziato a chiederle. E ne volevano di più… E non hanno smesso di chiederle, grazie a Dio!”.
Galliano
Martin Margiela ha lasciato la direzione della propria casa di moda nel 2008 e, dal 2009, John Galliano ha preso in mano le redini del brand, poi rinominato Maison Margiela. Da allora, le tabi si sono evolute, sempre restando fedeli a sé stesse. Martin Margiela stesso, sostiene a proposito del modello: “è riconoscibile ed è lì da più di 25 anni – è lì, e continua ancora, e non è mai stato copiato. È una storia incredibile”. Non solo stivali, ma anche mocassini, ballerine, pump, slingback, mules, le abbiamo viste perfino in versione sneakers. Per non parlare delle infinite modalità in cui vengono declinate, dai modelli iconici in effetto vernice, a quelli glitterati o stampati.
Più di una scarpa
Animalesche, eppure sofisticate, dal loro debutto ad oggi, le tabi sono imbevute dello spirito anticonformista del loro creatore. Martin Margiela era adamantino riguardo al suo anonimato, all’importanza di puntare i riflettori sugli abiti e i prodotti, piuttosto che sul designer autore delle creazioni, comprendeva l’importanza del potenziale disruptive e sorprendente, proprio della moda. Anticonformismo e sovvenzione delle norme sono parte del codice genetico delle sue creazioni; si pensi alle super iconiche “Topless” tabi, il modello a sandalo costituito solo dalla suola, che va indossato usando niente più che del nastro adesivo.
Come ci si sente ad indossare un paio di tabi?
Tra le fedeli adepte delle scarpe Margiela come Björk, spicca anche Chloë Sevigny; la provocatoria ed eclettica attrice, immortalata giovanissima in una foto sulla spiaggia, in shorts e tabi, le indossa ormai da decenni. Linda Loppa invece ne possiede ben cinque paia, esposte al Moma. La fashion consultant, docente e designer rivela:
“Le scarpe Tabi ti fanno sentire un po’ diverso. Il tuo atteggiamento, la tua posa, il tuo modo di camminare, di pensare (…) Mi sento come una statua, parte di una silhouette completa che è diversa da quella che ho visto prima”.