Noto come uno dei maggiori interpreti della Pop Art americana, Roy Lichtenstein è diventato famoso in tutto il mondo per le sue opere ispirate all’arte del fumetto. Il suo stile inconfondibile, emerso grazie all’uso della retina tipografica che l’autore usava per ottenere diverse variazioni di colore e ombreggiatura, lo ha reso tra gli artisti più riconoscibili del XX secolo. Opere come Crack!, As i open fire e Drowing Girl saranno presenti nella mostra dedicata dal titolo “Roy Lichtenstein: the Sixties and the history of International Pop art”, a Desenzano del Garda (Bs) visitabile fino al prossimo 16 luglio 2023.
Il cubismo come iniziazione
Nato a New York nel 1923, fin da bambino dimostrò una spiccata vocazione per le attività artistiche, tanto che nemmeno l’arruolamento in guerra, – avvenuto nel 1943 quando aveva solo 20 anni -, riuscì a distoglierlo dalla sua passione primaria.
Affascinato dalla concezione di spazio introdotta da maestri del cubismo come Pablo Picasso, Roy impiegò anni per affinare la sua arte. Partendo dalla rielaborazione cubista di quadri storici che raffiguravano scene dell’America del XIX secolo, scelse di dare alle sue opere un taglio artificialmente primitivo. La rievocazione di pitture rupestri, associate alla modernità del cubismo, fece spiccare l’arte di Lichtenstein in breve tempo, identificandolo come portatore di grande innovazione. Un esempio del connubio tra finta arte rupestre e cubismo è sicuramente l’opera del 1951, un olio su tela dal titolo Cowboy on Horseback.
Il cartoon come nuova lente per rappresentare la realtà
Fu solo intorno agli anni 60 che Lichtenstein individua nel cartone animato un potenziale non ancora sfruttato. Le animazioni cartoon, che tanto amavano guardare i suoi figli, diedero a Roy l’ispirazione per creare qualcosa di nuovo. I cartoni, altro non erano che una riproduzione in chiave family friendly e leggera della vita reale, un’unione vincente tra vero e immaginario. Da questa deduzione, il passo successivo fu chiaro: avrebbe ironizzato sulla cultura americana usando modelli in stile fumetto, estrapolandoli dal loro contesto originale per sottolineare gli aspetti più controversi della vita reale.
Bionde e malinconiche: le girls anonime di Lichtenstein
La società americana degli anni 60 infatti, venne fortemente pervasa dall’uso delle immagini. Il concetto di “visione” aveva un ruolo primario nell’America di quel tempo. Ecco quindi che le opere di Lichtenstein trovano la loro protagonista ideale: una donna medio-giovane, spesso particolarmente bella, bionda, ma sempre in difficoltà. Le anonime girls dell’artista sono l’archetipo di donna che l’America degli anni 60 voleva. Spesso angosciate e tristi a causa di un uomo che non riservava mai loro il trattamento sperato, le figure femminili di Roy trasudano tristezza, frustrazione e remissività. Opere come Drowning Girl pongono chi guarda ad empatizzare istantaneamente con la donna raffigurata, portando ad una riflessione: “Cosa avrà mai vissuto questa donna? …e come andrà a finire la storia?”.
I BEN-DAY DOTS
A rendere le opere di Lichtenstein immediatamente riconoscibili, c’è sicuramente l’uso dei “Ben-Day dots”. Questa particolare tecnica di stampa e fotoincisione che di fatto anticipò nel vero senso della parola il più moderno pixel si sviluppa nel 1879 dall’illustratore e stampatore Benjamin Henry Day Jr.
La forza della tecnica, sta nell’illusione ottica creata dai colori dei punti e dal lor particolare distanziamento, metodo utilizzato nel XX secolo per creare l’ombreggiatura nei fumetti a colori. Definita dallo stesso Roy «la tecnica ideale per rendere iconica la banalità», il punto Ben-Day rese le donne delle sue opere ancora più reali, nonostante la tecnica prettamente meccanica di realizzazione delle stampe. Creazioni come Viip, Ziing e The Ring (engagement) sono solo alcuni dei lavori che hanno reso Lichtenstein un’icona della Pop Art al pari di artisti a lui contemporanei come Andy Warhol, capaci di evocare ancora oggi un enorme potere in chi li guarda.