Più che una tendenza, una vera e propria necessità. Manca poco al 2030, anno in cui si dovranno raggiungere determinati obiettivi incentrati sullo sviluppo sostenibile. Quando mancano soltanto sei anni all’annata chiave, sono tantissimi i brand che stanno cercando di adeguarsi al cambiamento, diventando sempre più a trazione green. Contemporaneamente invece nell’intero settore sta prendendo sempre più piede la nascita di nuovi designer e brand totalmente focalizzati sulla causa e sulla ricerca del dialogo tra design sostenibile e moda.
La trasformazione passa dal fashion designer
Nel processo sostenibile tutto è nelle mani del designer. L’attenzione verso una moda green deve partire infatti già dalle fasi di progettazione; è proprio quello il momento in cui, attraverso schizzi e bozzetti, lo stilista decide oltre al tema e al mood della propria collezione anche il tipo di tessuti da utilizzare. Fino a tempi relativamente recenti ci si limitava prima a realizzare i capi, preoccupandosi poi soltanto in un secondo momento (dunque inutilmente) delle problematiche legate al loro smaltimento.
Perché la moda ha avuto un impatto ambientale così elevato?
Ma per quale motivo la produzione di capi d’abbigliamento, così come l’abbiamo sempre conosciuta, risulta così tanto alta a livello d’impatto ambientale? Tutto sta nella sua produzione, purtroppo contrassegnata da un impiego considerevole di acqua e di energia, da un utilizzo di svariate sostanze chimiche assai dannose non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo, da emissioni di CO2 (anidride carbonica) oltre che da tanti, tantissimi materiali di scarto impossibili da smaltire.
A peggiorare la situazione nell’ultimo ventennio è stato poi il boom delle catene di fast fashion, settore che secondo alcune stime coinvolge oltre 75 milioni di individui nel mondo. Questo ha comportato un aumento sensibile della cosiddetta moda usa e getta e ad un incremento dell’acquisto di tanti capi che, vista la portata economica, sono costruiti da materiali insostenibili per antonomasia che, come se non bastasse, vivono una vita brevissima, finendo rapidamente in discariche ed inceneritori. Ma attenzione a non affossare eccessivamente tutte le colpe al fast fashion: anche i gruppi più attenti e sensibili alla tematica green, – vedasi ad esempio il gruppo del lusso Kering -, fanno sempre più fatica in quanto non riescono a tenere il passo all’enorme volume di richiesta di un mercato, quello della moda, perennemente in crescita.
Come si stanno muovendo i brand del lusso?
Dopo quanto detto, appare evidente come l’attenzione verso la sostenibilità nella moda sia ancora un processo in grande divenire, malgrado ovviamente le tante energie che la comunità sta cercando di impiegare in modo positivo. Ma in che direzione si stanno direzionando i grandi brand del lusso, quelli che di solito si muovono per primi al fine di tracciare la via e dare l’esempio? Recentemente ha spiccato in modo particolare l’iniziativa di Gucci, azienda che ha annunciato l’avvio di un hub del lusso circolare con il chiaro intento di ripensare la catena del valore a partire dal design dei prodotti e alla selezione delle materie prime.
Apprezzato anche l’esperimento di Valentino che, attraverso Valentino Vintage, ha chiesto ai propri clienti più affezionati di riportare in negozi selezionati i capi non più utilizzati del loro guardaroba, reintroducendoli dunque sul mercato e avviando di fatto una seconda vita. Ma ciò che servirà veramente nei prossimi anni sarà la potenza della divulgazione. Oggi siamo estasiati da frasi, slogan e termini utilizzati perlopiù a caso, che ci portano a non conoscere i reali effetti negativi che una moda non sostenibile può veicolare. L’obiettivo sarà quindi, oltre che garantire una produzione sempre meno dannosa, anche informare la clientela, invogliandola ad abbracciare una battaglia fondamentale per la sopravvivenza del pianeta.
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