Lutto nel mondo della musica. Lo scorso 28 marzo è infatti scomparso Ryuichi Sakamoto, uno dei compositori più influenti della storia recente. La notizia della morte, comunicata in via ufficiale soltanto domenica 2 aprile, è stata accolta con commozione da ogni singolo continente del mondo. Il musicista infatti, noto soprattutto per aver scritto la colonna sonora del capolavoro “L’ultimo imperatore” rappresentava infatti un tipo di figura oggi quasi estinta, quella del compositore totale, fortemente ancorato al suo Paese d’origine, il Giappone, ma in grado di dialogare apertamente con l’occidente componendo pagine di musica per ogni campo artistico: dal videogame fino all’arte contemporanea. Ripercorriamo dunque chi era Ryuichi Sakamoto, l’anima libera.
Un musicista aperto
Quello verso la musica non era un vero e proprio amore. Sakamoto infatti era più che altro devoto all’arte musicale, tanto da scoprirla fin da bambino per poi non lasciarla mai più. Tutto, nella sua vita, ha ruotato intorno alle sette note, agli accordi, alle armonie e alla sperimentazione. Non a caso, dopo una prima esperienza liceale con un band jazz, il nostro si laurea in composizione all’Università degli studi di Tokyo, per poi sposare due contaminazioni diverse, il genere etnico e quello elettronico.
Proprio sul versante electro si muovono i suoi primi passi sopra il palcoscenico. Alla fine degli anni Settanta infatti il nipponico entra come membro della Yellow Magic Orchestra insieme a Hosono e Takahashi, ricevendo un buon consenso di pubblico non soltanto in Giappone, ma anche nel roboante e sempre culturalmente aperto Regno Unito. Il successo britannico permetterà inoltre al musicista di incontrare personalità differenti del panorama musicale, tra cui spicca il genio David Bowie, con cui prende parte a un film come protagonista: si tratta de “Furyo (Merry Christmas, Mr Lawrence)”, lungometraggio di Nagisa Oshima, reso celebre soprattutto dal tema musicale del film scritto da Sakamoto stesso, “Forbidden Colours”, cantata da David Sylan, e ad oggi considerata la sua canzone più famosa.
Le colonne sonore
Nei primi anni Ottanta poi, dopo lo scioglimento degli Yellow, Sakamoto pubblica nel 1984 un album importante, “Ongaku Zukan”, summa totale dell’incontro tra le sue origini orientali e le, tante, tantissime influenze dettate dall’occidente. Ma tutto il decennio sarà caratterizzato da un lavoro importante svolto sulle colonne sonore. Il regista italiano Bernardo Bertolucci – probabilmente convinto dal lavoro svolto con Oshima – sarà il primo cineasta non giapponese a coinvolgere Ryuichi per una colonna sonora originale. Un’intuizione che si rivelerà più che azzeccata.
Nel 1987 infatti il compositore vincerà il Premio Oscar per il capolavoro “L’ultimo imperatore”, conquistando il cuore degli ascoltatori anche con altri motivi indimenticabili legati al cinema: pensiamo ad esempio a “Il the nel deserto” e “Piccolo Buddha” (sempre di Bertolucci), oltre che “Tacchi a spillo” di Almodovar fino al più recente “Revenant” del messicano Inarritu.Ma lo spazio sonoro del giapponese è troppo ampio per essere ridotto soltanto al campo delle colonne sonore. l’approccio di Sakamoto può essere considerato infatti totale: tutto per lui in musica può essere sublime, dalle suonerie del telefono (ne compose diverse in carriera) fino all’avanguardia, riconducibili ai lavori con l’artista Alva Noto, passando per le musiche degli anime giapponesi o dei videogiochi. Musiche affrontate con lo stesso rispetto, con lo stesso approccio, con la stessa incredibile devozione.
Tre universi lontani che aprono tutti i confini
Per riassumere l’arte di Sakamoto infine basta citare i suoi tre punti di riferimento artistici, molto lontani tra di loro. Per sua stessa ammissione infatti l’artista del Sol Levante prendeva ispirazione dalla lezione di John Coltrane, da cui ha estratto le sue radici legate al jazz dunque all’arte dell’improvvisazione, dai Beatles, da cui ha attinto per filtrare con il pop, fino a John Cage, re del situazionismo e del novecento avanguardista.
Tre mondi che solo un genio come lui poteva essere in grado di far dialogare tra loro con estrema naturalezza. D’altronde, il maggior punto di forza del giapponese non fu stato tanto quello di spaziare in ambiti diversi, bensì quello di essere riuscito a rendersi riconoscibile in tutto quello che ha sempre prodotto: dall’accordo difficilissimo e ricercato, dalle armonie più complesse passando per la più basilare scala da utilizzare in una suoneria, Sakamoto ha sempre marchiato a fuoco ogni singola nota, rendendola unica, chiara, eterna. Riposi in pace, Maestro.
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