Sostenibilità:
guai a dire che sia un termine che “va di moda”. Eppure, anche nel mondo della moda, oggi il valore della tutela ambientale è potente e passa anche dalle dinamiche dal fashion system. Nelle ultime sfilate, Autunno / Inverno 2023/24, abbiamo sentito parlare di “seasonless” e, sulle pagine dei Magazine leggiamo il termine Ethical Fashion assistendo alle diatribe tra fast fashion e slow fashion. Sono diversi i termini che si riferiscono alla moda sostenibile: è diventato fondamentale, ormai, destreggiarsi tra questi significati per poter comprendere le evoluzioni del settore, che da sempre spalleggia i temi sociali più importanti. La moda, si sa, è un teatro attraverso il quale portare in scena le battaglie che coinvolgono i più grandi cambiamenti culturali: insieme a essi, si modifica anche il linguaggio che utilizziamo, che ci fa acquisire nuovi termini e, di conseguenza, nuove consapevolezze.
Di cosa parliamo: quali sono i termini della moda sostenibile
Non solo una questione di vocabolario. Quando parliamo di sostenibilità, sottolineiamo la necessità di un cambio di rotta e di stile di vita, non solo un ricambio negli armadi. I nuovi termini della moda sostenibile diventano così linee guida attraverso le quali ci rendiamo parte e partecipi di un vero e proprio movimento. Le scelte che compiamo durante le nostre nuove sessioni di shopping saranno quindi basate sul concetto di Seasonless: parliamo letteralmente di capi “senza stagione”, di quelle sovrapposizioni di abiti e tessuti, di quei giochi di equilibrio tra leggerezza di alcuni materiali e lo spessore di altri, che permettono a ogni vestito di acquisire versatilità, duttilità ed essere utilizzato in ogni periodo dell’anno.
Un concetto mostrato sia dai designer emergenti sia sulle passerelle dei marchi più famosi, che sanno quanto la brand image, oggi, conti sul mercato in termini sì di business ma anche di etica. Un approccio, quello del Seasonless, che viaggia perfettamente sui binari dello slow fashion, altro caposaldo tra i termini utilizzati per parlare di moda sostenibile: una parola scelta dai professionisti del settore per indicare e identificare soluzioni sostenibili, basate su nuove scelte in materia di produzione, consumo e design.
Alcuni fra i brand fashion più importanti si sono fatti pionieri di questo stile di vita,
da Stella McCartney che dal 2021 ha espresso la sua volontà di unire etica e immagine a Vivienne Westwood – l’eccentrica stilista mancata nel dicembre scorso –, chiaro esempio di moda ecosostenibile dal 2001. Capi intramontabili, sì, e per questo riutilizzabili: dal rinnovamento del Second Hand (sono tante le catene di negozi che, nel mondo, sono diventate capisaldi dell’usato, come Humana che a Torino e Milano sono ormai punti di riferimento per gli amanti del vintage) al Recycled Fashion, termine che nel mondo della moda sostenibile si riferisce al processo industriale attraverso il quale un prodotto viene scomposto nei suoi materiali di base per creare qualcosa di nuovo; e con lui, anche l’Upcycling, termine che racconta la capacità di immaginare, in maniera creativa, la funzione di un oggetto o reinventando il suo scopo.
Cruelty Free, biodegradabile: i termini della moda sostenibile rispecchiano l’ambiente
Dopo il Beauty, anche il mondo della moda ha risposto alla necessità dei consumatori di avere capi la cui produzione, in tutti i suoi processi, assicura che nessun animale sia stato ucciso o ferito: il Cruelty Free diventa, così, il valore primario per una moda sostenibile. Anche il biodegradabile diventa una nuova regola: il termine si riferisce a un prodotto che può degradarsi naturalmente senza nessun effetto negativo sull’ambiente. Regola che nel mondo del fashion si riferisce alla scelta di tessuti non sintetici e senza coloranti. Infine, l’organic: un termine utilizzato, nel regime della moda sostenibile, che si riferisce ai materiali realizzati da quelle coltivazioni che non prevedono uso di pesticidi, fertilizzanti, radiazioni o altri prodotti chimici.