La sezione Orizzonti della Mostra del Cinema si è aperta con una pellicola italiana firmata da Roberto de Paolis, accolta con successo da pubblico e critica, inanellando una recensione positiva dietro l’altra; “Princess” ha inaugurato Venezia 79 portando in alto il nome del Nostro Paese. Merito di un tema, delicatissimo e ben trattato, e di una visione generale di un regista destinato a diventare punto di riferimento in ottica internazionale.
Un ritratto d’immigrazione con il volto ipnotico di Glory Kevin
In questo film il cineasta romano – alla sua seconda opera dopo “Cuori puri” (2017), presentato in un’altra sezione di alto profilo, la Quinzaine des Réalisateurs di Cannes – affronta infatti una tematica attuale, l’immigrazione, mettendo al centro una giovanissima clandestina di nazionalità nigeriana, interpretata da Glory Kevin, attrice non professionista che in passato è stata coinvolta in un terribile giro di traffico sessuale.
De Paolis la ritrae precisamente a Ostia (località balneare di Roma già protagonista di tanti film che hanno trovato fortuna in laguna), dove si prostituisce all’interno di una pineta – quella di Castel Fusano- vastissima, alle prese con una sopravvivenza difficile, atrofizzata sentimentalmente da una condizione esistenziale umiliante. Nella storia ci sarà però un momento di rottura, dove Glory prima arriverà ai ferri corti con le proprie amiche, per poi conoscere un uomo, di nome Corrado (Lino Musella). Ma il destino di Princess sarà risolto soltanto dalla diretta interessata con un lento ed emozionante crollo proprio della componente emotiva.
Un realismo studiato in ogni minimo dettaglio
Come accaduto già con la pellicola d’esordio, anche in “Princess” il regista crea un legame profondissimo tra i suoi protagonisti e il luogo che li ospita. Qui Ostia sembra una foresta, uno spazio in cui l’attrice si comporta quasi come una predatrice, con il fiuto verso i soldi ma con un’età ancora troppo giovane per non abboccare a possibili fregature. Ma una delle caratteristiche più apprezzate dalla critica in prima battuta è stato il processo che ha portato De Paolis a raccontare la storia in un determinato modo: prima della realizzazione infatti il romano ha studiato la prostituzione illegale conoscendo da vicino le reali esperienze delle cosiddette schiave del sesso, fattore che gli ha consentito di realizzare una messa in scena autentica, dunque non artificiosa, di un tema spesso affrontato senza particolare cognizione di causa.
Spicca anche la mancanza di giudizio: ciò che è rappresentato nello schermo è infatti posto in modo oggettivo, senza fastidiosissimi toni pietistici o edulcorati: si tratta infatti di un film crudo, non intenso come componente orrorofica ma bensì come concezione ancestrale. D’altronde, per usare le stesse parole del regista, la protagonista:
«prima di ogni altra cosa, è una ragazza di diciannove anni che, aggrappata al proprio candore, cerca di resistere alla ferocia del mondo».
Chi è Glory Kevin?
Ma allora chi è questa attrice non professionista di cui tutti si sono già innamorati? Glory Kevin è una ragazza nigeriana di soli diciannove anni, arrivata in Italia nel 2015 con una laurea all’Università all’Ogwe College di Okwe alle spalle; è stata notata proprio dal cineasta mentre era intento a cercare delle figure non professionali da coinvolgere per il film. Dopo una reazione titubante, la neo attrice si è innamorata del progetto a seguito di alcune conversazioni con De Paolis che, con grande intuito, le ha concesso di costruire liberamente il suo personaggio, senza alcun tipo di strutture. Glory ha quindi colto la palla al balzo, ponendosi come obiettivo quello di contribuire al racconto di una realtà mai veramente analizzata a fondo, utile per far capire a tutti le condizioni e le motivazioni che spingono le ragazze e i ragazzi come lei a lasciare il proprio Paese.
“White Noise” apre il concorso ufficiale
Decisamente di altro stile invece “White noise”, adattamento del capolavoro letterario postmoderno di Don DeLillo che ha inaugurato il Concorso Ufficiale del Festival del Cinema di Venezia. Diretto da Noah Baumbach (su produzione Netflix) e tratto appunto dall’omonimo romanzo di Don De Lillo, la pellicola racconta in tono grottesco e satirico i banali conflitti della quotidianità affrontati dalla tipica famiglia americana, con dialoghi veloci e surreali e uno stile capace di affrontare temi leggeri e al contempo drammatici.
Si racconta nello specifico della vita di Jack Gladney, un docente di studi hitleriani che vive in una città del Midwest con la moglie Babette e i suoi figli. I coniugi sono ossessionati dalla morte e dovranno fare i conti proprio con questa paura quando un evento tossico aereo colpirà la loro zona. Malgrado un cast di primo piano – Adam Driver e Greta Gerwig spiccano tra i protagonisti – la ricezione da parte della stampa è stata piuttosto fredda, a causa (secondo alcuni) di alcune divergenze con il celeberrimo libro. Sarà comunque il pubblico a stabilirne il reale successo.
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