Nel Museo Diocesano di Milano inaugura la mostra dedicata a Elliott Erwitt, importante fotografo del Novecento. L’esposizione consta cento scatti in bianco e nero, realizzati dall’artista in fasi distinte del suo lungo cammino evolutivo. Una mostra che non intende semplicemente omaggiare un fotografo che ha dato lustro e importanza all’arte fotografica, ma promuovere attraverso un percorso espositivo inedito e interessante una conoscenza dell’artista e del suo lato umano. Le fotografie scelte scavano in profondità nel lavoro e nell’animo di Erwitt indagando gli aspetti meno noti di questo formidabile ritrattista, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.
“La fotografia è il lavoro dell’anima”
Per comprendere il lavoro Elliott Erwitt è necessario partire dalla sua vita privata e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto. Erwitt è noto per essere una persona particolarmente ironica, spiritosa e questo suo lato umoristico si riflette nelle sue fotografie, specie in quelle che raffigurano gli animali. Sin da quando era bambino, infatti, adorava i cani (soprattutto quelli di piccola taglia) e ha cercato sin da subito di ritrarli nelle sue fotografie, allo scopo di far ridere chiunque le guardasse. Infatti, raccontava lo stesso Erwitt durante un’intervista:
“Perché ritraggo i cani? Bella domanda. Di me dicono che sono un umorista e infatti cerco di strappare un sorriso a chiunque guardi le mie fotografie. Spesso ritraggo questi piccoli cagnetti, mentre abbaiano o saltano. Suono una trombetta e tirano fuori il meglio di loro, risultando divertenti e spassosi. La cosa più utile e difficile al mondo è proprio far ridere la gente. Spesso dico che la fotografia è il lavoro dell’anima, sia perché il bravo fotografo mette l’anima in ogni scatto, sia perché dialoga con l’anima di chi guarda. Il riso ne è solo una conseguenza”.
L’importanza del viaggio nelle sue fotografie
All’interno del percorso espositivo, si passerà da questa prima sezione dedicata ai cani (carlini, barboncini, chihuahua e tanti altri) ad una seconda sezione dedicata ai tanti viaggi di questo fotografo che ha viaggiato moltissimo nell’arco della sua giovinezza e ha fotografato ogni città in cui è stato. Ha sempre avuto il febbrile bisogno di spostarsi, una caratteristica comprensibile analizzando la sua vita. Difatti, era figlio di due emigrati russi che avevano lasciato casa e affetti in cerca di una vita migliore in Europa. Si erano spostati dapprima in Francia e poi in Italia, continuando a girovagare e a vivere in posti sempre diversi. Perciò sin da bambino Erwitt ha cambiato continuamente città, amici, abitudini e ha vissuto in questo modo anche da adulto, spostandosi di luogo in luogo, finché non si è definitivamente trasferito a New York, sua patria d’elezione.
Ha fotografato celebrità, bambini, paesaggi sempre mantenendo quella vivacità, quella vena spiritosa e quel vivido desiderio di raccontare la commedia umana. Erwitt era solito dire che: “se non si viaggia, non si vive” ed, infatti, sono certamente state le tante esperienze che ha vissuto ad aiutarlo nel suo mestiere, spingendolo a fotografare molte persone diverse, divenute col tempo vere e proprie icone.
Un fotografo di celebrità
Eppure, Elliott Erwitt era soprattutto un grande ritrattista, come testimonia la sezione finale della mostra organizzata in collaborazione con SudEst57 e con il patrocinio del Comune di Milano. Questo fotografo giramondo ha dedicato parecchi scatti ai padri della rivoluzione cubana, cioè Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, ritratto mentre sorride con in mano il sigaro e in tenuta militare. Un angolo della mostra è inoltre interamente dedicato a Marilyn Monroe, colta in momenti intimi e privati, sotto una luce del tutto inedita. I presidenti americani sono tra i suoi soggetti preferiti, perché si impegna a svelare i loro lati più nascosti, quelli che il pubblico non immaginava, come lui stesso racconta durante un’intervista:
“Ho fatto di tutto, ma preferisco il tipo di lavoro che ha a che fare con la condizione umana invece che con gli oggetti, perché essi n0n riescono rivelare quanto un corpo. Credo che la fotografia debba mostrare dei lati inediti e sconosciuti di un essere umano, tutto qua. Far vedere ad un’altra persona quello che non può vedere perché è lontana o distratta, mentre tu invece sei stato fortunato e hai visto, è la grande magia della fotografia. Se una foto può migliorare il mondo non so, non mi riguarda, ma di certo dona qualcosa che non potremmo avere in altro modo”.
La parte finale della mostra: un inno alla vita
Questo raffinato e complesso percorso espositivo si conclude con le immagini di bambini pieni di vitalità che giocano e saltano. Bambini parecchio diversi tra loro, fotografati mentre giocano a pallone nelle strade pietrose di Puerto Rico, ragazzi irlandesi in posa per una campagna turistica, ragazze che giocano con i loro cagnolini, senza riuscire a trattenere un sorriso estatico. Vi sono poi coppie di innamorati, gente comune che si tiene per mano nelle vie italiane o nelle campagne francesi, uomini e donne che si scambiano baci appassionati sotto al sole d’agosto. Tutti scatti che documentano gli aspetti migliori dell’esistenza e tutto ciò che Erwitt ha sempre amato della vita.
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