Edonismo anni ’60 e ribellione giovanile: la storia della minigonna racconta il percorso di emancipazione femminile, il cambiamento dei valori sociali e del gusto estetico nel tempo. Nonostante stia arrivando alla soglia dei 60 anni, riesce a mantenere intatta la sua immagine di freschezza. La correlazione tra le lunghezze delle gonne e la cultura in generale non è una novità. La minigonna ha fatto la storia per tre distinti motivi: ha esibito le gambe, ha rappresentato la democratizzazione della moda e ha contribuito ad alimentare il movimento sociale femminile e la liberazione sessuale, iniziata negli anni ’60. Non solo la nascita della minigonna coincide con quella della pillola, ma tutta quella pelle esposta ha portato l’attenzione sulla sessualità di una donna, diventando portavoce di emancipazione.
Più famosa di qualsiasi celebrità
Tra le tante rivoluzioni degli anni ’60 Swinging, dai Beatles al primo uomo sulla luna, la minigonna resta una delle icone più longeve dell’epoca. Le opinioni su chi l’ha inventata divergono: con Mary Quant, André Courrèges, John Bates e Jean Varon tra i contendenti. A Mary Quant è spesso attribuito il merito di averla inventata, tanto da essere definita “la madre della minigonna”; in realtà l’introduzione delle gonne “sopra il ginocchio” è stata un processo graduale. È importante ricordare che la gonna corta inizia ad insinuarsi lentamente nel mainstream attraverso film di fantascienza degli anni ’50 come Flight to Mars e Forbidden Planet; ma è solo negli anni ’60 che diventa icona culturale.
Rappresenta un movimento politico giovanile in cui gli adolescenti non vogliono più vestirsi come i genitori e la gonna corta diventa quindi un capo giocoso e ribelle che rappresenta il cambiamento nelle dinamiche sociali. La stessa Quant riconosce come la tendenza sia stata influenzata dallo street style londinese emergente e da un più ampio spostamento culturale verso l’informalità e la rottura dei codici sociali.
Mary Quant e la sua eredità londinese
Sicuramente a lei va il merito di averla resa popolare, introducendone la sua versione e dandole il nome “mini” (ispirato alla sua auto preferita) in quella che è diventata l’iconica boutique Bazaar, in King’s Road, fulcro della moda mondiale, nel quartiere londinese di Chelsea. Gonne e abiti super corti diventano il look caratteristico di Mary, contribuendo a rendere popolare la minigonna su scala internazionale. Bazaar diventa una “scena”, un ritrovo edonistico composto da musica, bevande e un’esperienza di shopping senza eguali.
Lo stile della Quant attrae le giovani donne che cercavano una moda giocosa e civettuola, in linea con i progressi dell’espressione sessuale all’interno della società. Con il suo orlo audacemente corto, la minigonna – indossata con Mary Jane piatte, stivali al ginocchio con zip e collant spessi dai colori vivaci – sfida la società e scuote i valori conservatori. E, cavalcando la scia della mania globale dei Beatles e dei Rolling Stones, la richiesta di orli più corti presto decolla.
John Bates e Andre Courrèges: i padri delle minigonne
Più o meno nello stesso periodo, il designer francese André Courrèges debutta con la sua personale iterazione della nuova tendenza; con abiti minimalisti e futuristici dell’era spaziale. Linee geometriche, body, pop art, total white; tessuti in vinile e plastica, sono i modelli proposti nella collezione “Moon Girl” nel 1964, (lo stesso anno in cui Mary Quant spopola a Londra).
Questo passaggio alle gambe scoperte innesca la frenesia nel mondo dell’haute couture francese, come rifiuto delle soffocanti regole e tradizioni patriarcali delle generazioni precedenti. Viene chiamato “l’effetto Courrèges”, tanto che lo stesso Yves Saint Laurent dichiara di averlo preso come ispirazione nella creazione di abiti meno convenzionali e lo stesso vale per Balenciaga. John Bates è invece uno dei designer britannici più influenti degli anni ’60 con l’etichetta “Jean Varon”, passato alla storia come “l’inventore sconosciuto della minigonna”. John Bates ha realizzato gonne più corte molto prima di altri (1959); ma è solo con Mary Quant che la mini diventa moda.
Twiggy, fornisce una nuova svolta al look e all’atteggiamento della moda del tempo
I modelli più distintivi della Quant sono realizzati in jersey di lana, preso in prestito dall’abbigliamento sportivo; le mini, luminose, comode ed energizzanti si esprimono in colori semplici e persino in una miscela di lurex rosa e argento. Improvvisamente la moda, con la sua scossa di colori, in netto contrasto con i gialli poco brillanti e i marroni della Gran Bretagna del dopoguerra, diventa un parco giochi. Twiggy, con il suo look androgino e prepuberale, tutto gambe allampanate, pettinatura alla Peter Pan, occhi seducenti da Bambi e ciglia dipinte, diventa polena della nuova moda.
La modella britannica si stacca dalle arie eleganti da debuttante delle modelle degli anni ’50; incarnando appieno l’onda rivoluzionaria del tempo, diventa la figlia non ufficiale del movimento. La modella Jean Shrimpton, nel 1965, suscita scalpore quando indossa una minigonna senza calze, cappello o guanti al Melbourne Cup Carnival in Australia.
Nel 1966, quando la sfilata di Dior non presenta la tendenza più in voga del momento,
un gruppo di donne, noto come la “British Society for the Protection of Mini Skirts”, sfila in segno di protesta con cartelli che dicono: “Minigonne per sempre.” Personaggi pubblici di spicco come Brigitte Bardot e Jackie Kennedy cementano completamente la tendenza indossando la mini come un’uniforme; Jackie Kennedy sceglie addirittura un abito corto bianco plissettato di Valentino per sposare Aristotele Onassis.
Condannata ma molto amata, la minigonna esplode nel panorama politico sfidando le regole della società
Quando le donne entrano in una nuova era di liberazione con l’invenzione del controllo delle nascite e leggi più complete messe in atto per proteggerle, l’immagine della donna si sposta da quella di domesticità a quella di mondanità e libertà sessuale. Questo è esattamente ciò che incarna la minigonna comoda e non restrittiva. Dopo un periodo in cui viene eclissata dai pantaloni a zampa d’elefante la minigonna torna di gran moda; grazie a Debbie Harry, -voce dei Blondie- che la indossa regolarmente sul palco, trasformandola nella “mini” prediletta dai gruppi punk dell’epoca ma reinventata in pelle nera e PVC.
La storia della minigonna rappresenta molto di più di un orlo corto
La mini è forse il più rivoluzionario degli stili perché supera l’idea di “trend” e si dimostra degna di un’altra categoria, quella “dell’intramontabile”. Nel corso degli anni, ritocchi sulla lunghezza, materiali e accessori, proiettano vibrazioni radicalmente diverse, la minigonna rimane un simbolo di giovinezza ed emancipazione. Oggi top model come Bella Hadid e Kendall Jenner continuano a sfoggiare minigonne dentro e fuori la passerella e gli stilisti continuano a giocare con la silhouette, orli asimmetrici, texture arruffate, abbellimenti ricamati e altro ancora.
Diesel, Dion Lee e Miu Miu hanno tutti sottolineato l’importanza di mettere in evidenza non solo le mini, ma anche le micromini nelle loro collezioni. La minigonna oggi ha un valore ben diverso da quello del passato, pur rappresentando sempre ribellione; oggi è legata al risveglio della libertà nel vestire. Questo capo rappresenta una moda e uno status symbol da perseguire a prescindere dalle critiche perché simbolo indiscusso di non omologazione.
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