Shein, Zara, H&M. Tre marchi che negli ultimi anni in modo particolare hanno fatto il boom, conquistando milioni di acquirenti in tutto il mondo, per un giro d’affari complessivo da fare girare la testa. Parliamo di miliardi di euro all’anno, un impero costruito sulla facile reperibilità di prodotti adatti sia alle occasioni quotidiane sia alle occasioni più formali. Tre brand che hanno come missione aziendale quella di vestire uomini, donne e bambini a prezzi di mercato bassi, bassissimi, per non dire stracciati. Ma a quale costo?

Shein, Zara e H&M: il mondo del fast fashion sempre più osservato speciale

Partiamo proprio da questi giorni: Shein, il gigante cinese, sta superando nuovi incredibili record. In base ai più recenti dati di Bloomberg, l’azienda si starebbe attivando per finanziamenti del valore di un miliardo di dollari che la potrebbe portare molto presto ad una valutazione complessiva da 100 miliardi di dollari. Se questa prospettiva si concretizzasse, Shein diventerebbe insieme a TikTok e SpaceX una delle start-up con maggiore valorizzazione a livello mondiale.

shein zara h&m Life&People Magazine LifeandPeople.itIl sito Shein ha di recente registrato numeri folli, persino superiori a quelli di un competitor del calibro di Amazon. L’e-commerce ha raggiunto, grazie anche al periodo del primo lockdown del 2020, ricavi per ben 8,8 miliardi di €, in 220 paesi. Cifre simili sono state raggiunte solo da colossi come Primark, che similmente a Shein punta su una qualità medio-bassa a prezzi ridotti.

Tutto questo, però, ha un costo, e per di più non di poco conto.

Ecco perché si parla, e non in termini positivi, di fast fashion. Ma a che cosa ci stiamo riferendo? Con “Fast Fashion” si parla principalmente di quelle case di capi d’abbigliamento che producono abiti “in massa”, -con qualità minore rispetto a quella dei grandi marchi dell’haute couture- e che vendono i loro prodotti a prezzi stracciati. Ma com’è possibile far sì che un capo d’abbigliamento costi così poco?

shein zara hm Life&People Magazine LifeandPeople.itLa risposta a questa domanda è complessa e ci porta in alcuni dei paesi del Terzo Mondo. Purtroppo, il fast fashion sfrutta molto spesso manodopera sottopagata, che si ritrova a lavorare con ritmi estenuanti e in situazioni dove le misure di sicurezza sono scarse se non addirittura inesistenti. C’è poi tutto il delicatissimo tema dello sfruttamento minorile. Se produrre in massa in Europa può rappresentare un costo importante, non è lo stesso per paesi come la Cina, Taiwan, la Thailandia.

Il fast fashion rappresenta anche un problema ambientale

L’industria tessile è infatti ancora oggi la seconda più inquinante al mondo, oltre ad essere una delle più problematiche a livello di emissioni e di sfruttamento delle risorse. Molti dei coloranti che vengono utilizzati per i vestiti fast fashion possono risultare nocivi per l’ambiente, ma anche per la nostra salute.

HM collezione Iris Apfel | Life&People MagazineQuesto tipo di modello di business va a creare quantità enormi di prodotti e capi, che per forza di cose non dureranno a lungo. Ciò comporterà l’accumulo di rifiuti e lo spreco di materiali, visto che i prodotti di Shein e degli altri brand di fast fashion sono di per sé considerati come qualcosa di usa e getta, che è possibile indossare per una sola stagione o al massimo per due.

Le nuove generazioni, soprattutto la Generazione Z, è il pubblico target perfetto per il fast fashion.

Dalla loro parte, Shein, H&M e Zara hanno dei prezzi più che competitivi, ma anche un’enorme scelta di prodotti, spesso molto colorati, sbarazzini, insomma, tutto quello che un adolescente potrebbe desiderare. Ed è paradossale che siano proprio i giovani amanti di certi marchi, visto e considerato quanto sono attenti a determinati temi, come per l’appunto quello ambientale.

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Il mondo del fast fashion è tutto da buttare? No, in realtà

Certe aziende, come la stessa H&M, si sono attivate con alcune campagne di ritiro di vestiti usati a fronte di uno sconto speciale. In questo modo sono riuscite ad evitare gli sprechi di materie prime e tessuti rendendo in parallelo felice il consumatore finale, che ha così avuto la sensazione di fare qualcosa di importante per il pianeta. Basterà? Lo scopriremo forse soltanto vivendo a lungo.

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