Oggi, 25 Novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e tutto il mese è dedicato alla sensibilizzazione nella lotta contro la violenza di genere. Un tema molto discusso, sia a livello globale che in Italia, dove, una donna su tre ha subito una forma di violenza almeno una volta nella vita. Quando parliamo di violenza maschile sulle donne, non possiamo parlare di emergenza in quanto un’emergenza, si caratterizza per un durata definita nel tempo, ha un inizio e una fine. La violenza contro le donne, è invece un fenomeno sistemico.

giornata violenza sulle donne Life&People Magazine LifeandPeople.it

Attraverso la testimonianza diretta di una donna vittima di violenza, che chiameremo “Anna” e della Dott.ssa Cinzia Marroccoli, psicologa, presidente di Telefono Donna di Potenza e consigliera nazionale di D.i.Re per la Basilicata che ci ha concesso questa  intervista esclusiva, cercheremo di comprendere meglio di cosa parliamo quando facciamo riferimento ai fenomeni di violenza sulle donne.

Violenza sulle donne, aumenta la richiesta di aiuto da parte delle vittime

Le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza sulle donne e lo stalking, sono aumentate del 79,5% nel corso del 2020 e nel primo semestre del 2021 c’è stato un incremento del +38,8%. Le statistiche relative all’indicatore sulla relazione del maltrattante con la donna non lasciano dubbi: il maltrattante è quasi sempre il partner oppure l’ex partner. Questo significa che nel 75% dei casi la violenza viene esercitata da un uomo in relazione con la donna. Se a questo dato si aggiunge la percentuale dei casi in cui l’autore è un familiare si arriva alla quasi totalità (83,7%).

violenza sulle donne intervista Cinzia Marroccoli Life&People Magazine

Non solo violenza fisica, ma anche svalutazione, controllo, isolamento ed intimidazione, nonché privazione o limitazione dell’accesso a risorse economiche, sono tra i comportamenti che gli autori di violenza agiscono nei confronti delle donne. Quello della violenza sulle donne è purtroppo un fenomeno trasversale e radicato all’interno della nostra società e colpisce le donne in quanto tali, indipendentemente dalla loro età, istruzione, posizione sociale, occupazione o collocazione geografica.

Tutte le storie di violenza si somigliano un po’ tra loro; non rappresentano quindi solo la storia di una singola donna ma di tutte.

Anna

“La cosa che mi sconvolge ancora adesso è di come io, una donna emancipata, in possesso di tutti gli strumenti culturali, sociali ed economici, sia potuta cadere nella trappola della violenza da parte di mio marito. Violenza psicologica e poi anche aggressione fisica e violenza sessuale che si è protratta per più di cinque anni, senza che io mi confidassi con qualcuno, senza che io mi ribellassi. Una violenza annientante e corrosiva che piano, piano mi consumava nel fisico e nella mente”.

Dottoressa Marroccoli, si pensa che la violenza psicologica sia soggettiva, per questo molte donne non ne sono consapevoli. Quale è il segnale universale che definisce la violenza psicologica? Il sentirsi minacciata? La paura?

La violenza psicologica è la forma di violenza che più colpisce le donne e non c’è violenza fisica che non sia stata preceduta da una periodo più o meno lungo di violenze psicologiche che permettono l’accettazione di quella fisica. I modi attraverso i quali si manifesta sono subdoli, silenziosi e difficili da riconoscere. Non è una questione di livello culturale o sociale, di preparazione o emancipazione perché tocca tasti emotivi legati all’affettività. Si tratta di una vera e propria manipolazione mentale che fa scivolare lentamente la donna verso una condizione nella quale lei stessa stenta a riconoscersi.Ed è proprio questo lento movimento che le fa alzare costantemente l’asticella della sopportazione: si abitua gradualmente a parole, comportamenti, che peggiorano con il tempo, fino a trovarsi dentro un pantano emotivo fatto di confusione, sensi di colpa, malessere, disperazione, nel quale non si capisce più cosa sia giusto o sbagliato e chi sia responsabile e di cosa.Fattori psicologici e sociali interagiscono tra loro e questa interazione contribuisce a trattenere la donna nella relazione violenta. L’isolamento è uno dei primi indicatori della violenza psicologica che si manifesta insieme alla gelosia che mano a mano diventa ossessiva e che si accompagna a comportamenti di possesso, controllo e manipolazione per creare dipendenza. La paura è un altro elemento fondamentale che immobilizza la donna.violenza sulle donne intervista Cinzia Marroccoli Life&People Magazine

Anna

“Ancora adesso a distanza di tanto tempo, quando sento espressioni del tipo “non posso vivere senza di te”; “se mi lasci mi ammazzo”; “senza di te non saprei come fare” ;“ti amo più della mia vita”… mi sento male, vengo pervasa da malessere anche fisico. Ho vissuto anni nei quali mi sono sentita il peso della sua vita addosso, il tutto travestito da amore folle. Una trappola emotiva che faceva leva proprio sul mio amore e sul mio senso di colpa e che mi portava ad accettare tutto, a sminuirmi fino a scomparire”.

Dottoressa, il ricatto emotivo è una forma di violenza subdola e nascosta, come fare a riconoscerlo?

Questa è chiamata “trappola fino al sacrificio” e fa parte proprio di quegli espedienti manipolatori che fanno leva sui sentimenti. Il senso di colpa, da un lato porta a giustificare il comportamento di lui e dall’altro spinge a modificare il proprio. La speranza poi che lui possa cambiare e tornare come prima, costituisce una delle motivazioni che spingono la donna a restare. Possiamo dire che la violenza psicologica e la conseguente difficoltà da parte delle donne a uscire da una situazione violenta, trova la strada spianata, proprio dalle prescrizioni di ruolo, “la donna come colei che accudisce”, che una volta introiettate, vengono a costituire, insieme agli altri elementi primari, l’identità di genere.

Anna

“Le crisi violente sono diventate sempre più frequenti; sono cominciate che ero incinta di 3 mesi ma il giorno in cui mi ha aggredito davanti a nostro figlio di 4 anni, è scattato qualcosa in me. Fortunatamente anche mio fratello ha assistito e da quel momento ho trovato la forza e ho chiesto la separazione. I due anni seguenti sono stati comunque molto difficili, vivevo chiusa in casa con il chiavistello perché lui non accettava assolutamente l’idea di avermi perso. Usava il figlio come alibi, mi seguiva, mi chiamava in continuazione, mi supplicava… Uno stalking durato anni. Ma ormai ne ero fuori e non avevo nessuna intenzione di tornare indietro. Tornare alla normalità è stato un percorso lungo e difficile”.

Dott.ssa Marroccoli, qual è il momento in cui una donna decide di chiedere aiuto? E a chi chiederlo?

La presenza dei figli che fino a quel momento erano un valido motivo per restare e cercare di salvare la famiglia, in condizione di pericolo per loro, diventa invece la molla per trovare la forza di reagire. Anche se può sembrare strano, restare è sempre più facile che andarsene, proprio perché si attuano con l’andare del tempo varie strategie di sopravvivenza. L’andarsene è legato anche all’idea di fallimento, proprio fallimento e del progetto di vita. Andarsene è l’incognita e il non sapere può spaventare ancora di più di una situazione che si conosce anche se negativa, ma non di fronte ad una minaccia per i figli. La famiglia e la casa, non possono essere una prigione o il luogo nel quale ci si sente minacciate; non possono essere fonte di paura e  luogo dove i bambini assorbono tensione e violenza. Come nel caso raccontato da Anna, emblematico per moltissime donne, il percorso del dopo è comunque solo l’inizio e anche per quello c’è bisogno di aiuto.violenza sulle donne intervista Cinzia Marroccoli Life&People Magazine

I centri antiviolenza D.I.Re

La prima tappa è quella di individuare la violenza, riconoscerla, decifrarne le modalità in cui si è presentata. De-costruire i meccanismi sociali e psicologici che trattengono nella situazione di violenza. Imparare a proteggersi, a mettere dei limiti nella relazione con gli altri, recuperare una capacità critica, un cambio di prospettiva, recuperare la propria voce. In questo consiste l’aiuto che abbiamo dato, che diamo e che possiamo dare alle donne. Oltre questo troveranno da noi un sostegno legale e un appoggio anche per affrontare il percorso giudiziale.

Le case di accoglienza rispondono invece alla necessità di allontanarsi dall’abitazione familiare, come unica soluzione percorribile per evitare ulteriori e più gravi violenze.

Noi, come Telefono Donna, cerchiamo di operare al meglio per aiutare e sostenere la singola donna e per imprimere anche solo un piccolo cambiamento nella de-costruzione dei condizionamenti culturali di cui le donne sono vittime. Oggi, siamo un gruppo di 84 organizzazioni sul territorio italiano, che gestiscono oltre 100 Centri antiviolenza e più di 50 Case rifugio, ascoltando ogni anno circa 21mila donne. Ogni donna, in quanto essere umano, ha il diritto di non essere sottoposta a tortura o ad altri trattamenti degradanti.

Grazie ad Anna per la condivisione della sua storia e alla Dottoressa Marroccoli per il suo impegno per la lotta contro la violenza sulle donne.

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