17 dicembre 1999: inizia da questa data la storia della giornata contro la violenza sulle donne. Ormai da venticinque anni ogni 25 novembre il mondo si stringe per manifestare contro un fenomeno che, purtroppo, non tende ad arrestarsi, come dimostrano i recenti fatti di cronaca nel nostro Paese. Sono già 105 i femminicidi commessi in Italia dall’inizio di quest’anno, sintomo di un problema culturale radicato nella nostra società non semplice da estirpare.
La “giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” viene istituita nel 1999
dalle Nazioni Unite dopo una prima, fondamentale, presa di coscienza da parte delle istituzioni. Proprio in quegli anni cominciano infatti a proliferare anche i centri antiviolenza, prima nati in modo autonomo e successivamente strutturati con più rigore. La scelta del 25 novembre come data-simbolo fu dettata da un fatto storico avvenuto in Sudamerica più di sessant’anni fa: nel 1960 proprio in quella data avvenne il terrificante omicidio di Maria Teresa, Minerva e Patria Mirabal, sorelle assassinate in Repubblica Dominicana dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo.
Le tre donne si stavano recando in carcere per far visita ai mariti, ma furono bastonate e gettate in un burrone dagli agenti carnefici. Questi ultimi tentarono anche di giustificare la brutale violenza, con un incidente. All’opinione pubblica, tuttavia, fu chiaro che erano state barbaramente uccise, anche per la loro appartenenza ad un gruppo politico clandestino, “il Movimento 15 giugno”, malvisto dal governo. Nel 1981 a Bogotà si decise di contrastare la violenza sulle donne scegliendo come data proprio quella in memoria delle tre vittime; scelta, poi, diventata globale anche dopo l’intervento molto più tardivo delle Nazioni Unite.
Uno degli emblemi che denunciano il femminicidio e sensibilizzano l’opinione pubblica
è rappresentato dalle scarpe rosse che, ogni anno, anno vengono simbolicamente “abbandonate” nelle piazze di tante città del mondo. Un gesto che nasce dalla celebre opera ideata dall’artista messicana Elina Chauvet, dal titolo “Zapatos Rojas”. L’installazione, realizzata per la prima volta nel 2009 in Texas davanti al consolato messicano di El Paso, rappresenta con semplicità impattante le donne violentate, rapite e uccise a Ciudad Juarez, la cosiddetta la “Città del Male”.
Una simbologia entrata velocemente nell’immaginario collettivo ma che spesso si è scontrata con la lentezza delle istituzioni, impreparate al contrasto del fenomeno. In tema di diritti gran parte del mondo è infatti ancora indietro, complice un grande ritardo normativo. Basti pensare che in Italia le donne hanno “conquistato” il diritto di voto soltanto nel 1946, mentre a livello mondiale la “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” è stata approvata nel 1998.
Una giornata per riflettere, per cambiare
I numeri, purtroppo, parlano chiaro: negli ultimi dodici mesi si sono già verificati 105 femminicidi, dunque reati commessi da uomini per mere ragioni di possesso; di queste più di 55 donne sono morte per mano del compagno (o dell’ex compagno), mentre le altre sono state uccise in un contesto familiare e affettivo. Numeri impressionanti a cui è necessario sommare un’altra statistica: in Italia almeno il 31,5% delle donne ha subito una violenza fisica o di natura sessuale. L’ambito più a rischio è dunque rappresentato dalle relazioni di coppia, con un carnefice spinto da vari moventi. I criminali sono mariti, fidanzati, conviventi o ex partner, quella categoria che in criminologia è definita “intimate homicide”.
Uno sguardo al passato: la donna, oggettificata da sempre
La violenza di genere che imperversa tutt’oggi ha una radice culturale millennaria. Per secoli e secoli le donne sono state relegate in un ruolo passivo e prevalentemente domestico, costrette a sopportare ordini imposti prima dal padre, poi dal marito. In alcuni imperi del passato (e purtroppo anche in alcune civiltà arretrate di oggi), il tradimento stesso era punito con la morte. Esempio lampante è quello della ricca Ponzia Postumina nell’antica Roma, assassinata durante la notte d’amore con il suo amante.
I casi nella moda che hanno fatto discutere
L’oggettificazione femminile è poi diventato nel tempo argomento di discussione anche nella cultura attuale, complici un ruolo non sempre centrato da parte del mondo dell’intrattenimento e, in generale, delle arti, moda compresa. Non è passata inosservata ad esempio la controversa campagna pubblicitaria realizzata qualche anno fa da Dolce&Gabbana, ritraente un’avvenente modella, seminuda, oltraggiata da cinque modelli che sembra facciano a gara per possederla.
Un altro shooting discutibile è quello firmata dal marchio Relish, con protagoniste ragazze, fermate e palpeggiate dagli agenti di polizia. Operazioni, che, con una sensibilizzazione divenuta sempre crescente, sono fortunatamente sparite, lasciando solo spazio ad iniziative lodevoli.
Ora anche la moda fa la propria parte
Non stupiscono oggi i progetti proposti dai principali brand del sistema, anche loro chiamati a fare la propria parte e dare il proprio contributo alla causa: nelle scorse settimane Gucci ha messo in vendita le slingback rosse presentate nella prima collezione di Sabato De Sarno, destinando parte dei fondi alla “Casa delle Donne”, centro di incontro e confronto sulla parità e sui diritti di genere a Firenze. Ancora più strutturata la scelta di Calzedonia che ha avviato una campagna istituzionale in collaborazione con la Polizia di Stato accompagnata dallo slogan “Questo non è amore”, claim riportato sulle bag shopper del brand.
25 novembre tutto l’anno
Ma non basta la sola giornata per risolvere il problema. Non volendo cadere nella più banale retorica, è opportuno sottolineare quanto – esattamente come l’8 marzo, festa delle Donne – la sfida non sia facile, in quanto va ad intaccare un problema che è insito nella nostra società. Per estirparlo c’è bisogno del contributo di tutti: uomini, donne, famiglie, scuola, istituzioni. Occorre un dialogo serio, propositivo e continuativo con la speranza di ritrovarsi, anno dopo anno, in una situazione più rassicurante.
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