Container e autobus con wi-fi garantito e sala riunioni a Lisbona oppure tra le panche di una chiesa luterana a Manhattan. O ancora, su un’amaca in una palafitta nella foresta di un’isola caraibica o a New York in cima a una parete da arrampicata perché per arrivare al successo bisogna scalare, non solo in senso metaforico. Ci sono gli incroci tra ufficio e Airbnb dove oltre al desk si affitta anche un letto e si condividono pasti ed esperienze o quelli pensati per i genitori dove gli educatori si prendono cura dei più piccoli mentre il papà è impegnato in una videoconferenza o la mamma sta preparando la mailing list di un evento. In palestra, al parco, al mare. Ovunque ci sia una rete a disposizione. Gli spazi di coworking sono ormai dappertutto e in costante aumento. Il lavoro a distanza sta diventano un elemento fondamentale della «nuova normalità» e gli esperti prevedono che lo spazio di lavoro flessibile rappresenterà il 30% di tutti gli immobili per uffici entro il 2030.

Oltre il modello ufficio-casa

Il lavoro sta cambiando… Fino a qualche mese fa pensare a un dipendente lontano dal suo ufficio era fantascienza. La dipendenza dalla scrivania era totale. Poi è arrivato il Covid che ha scardinato la concezione novecentesca del lavoro, trasformando le città in un unico ufficio diffuso. Nel post pandemia le aziende stanno puntando sulla riorganizzazione degli spazi, dei tempi, ma soprattutto del modo di lavorare. Stanno rinunciando ai loro uffici, spesso costosi, facendo lavorare i dipendenti sulle scrivanie «diffuse». In tutto il mondo le persone sperimentano che un mix di luoghi in cui lavorare è la soluzione migliore. È un approccio semplice: per ogni attività da svolgere esiste un luogo ideale. E questo cambia per ognuno di noi in base ai compiti, alla personalità, allo stile lavorativo e alla vita privata. Ma ciò che importa è allargare lo spettro delle possibilità: non c’è solo il «modello» ufficio-casa.

La nuova dimensione del coworking

In questo nuovo contesto sempre più flexible, come lo chiamano gli anglosassoni, un’opportunità per cambiare l’approccio al lavoro è il coworking, un’esperienza nata all’inizio degli anni Duemila in America, a San Francisco, a cui la pandemia ha dato un’improvvisa accelerata. C’è l’esperto di comunicazione che cerca uno spazio in condivisione, il grafico che desidera lavorare in compagnia, il medico che mette a disposizione il proprio studio per dividere le spese o l’estetista che cerca colleghe per aprire un centro benessere. Il mondo del coworking è cambiato in fretta in questo anno e mezzo. Alle figure tradizionali come architetti, ingegneri, web designer, copy-righters e professionisti degli eventi si sono affiancate nuove professionalità, dai medici agli psicologi.

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Coworking, la rivoluzione del lavoro

Il coworking supera il post-fordismo: è il lavoro che si destruttura per assumere forme nuove. Il lavoro smart non è una questione di tecnologia come molti credono, ma un’evoluzione dei processi.

«Con la pandemia, tutta l’Italia lavorativa ha fatto i conti, in modo violentemente improvviso, con la scelta del luogo dove svolgere il proprio lavoro,

spiega Massimo Carraro founder di «Rete Cowo», la rete di coworking indipendenti nata a Lambrate.

L’emergenza sanitaria ha fatto emergere, da parte delle aziende,

l’esigenza di fornire ai propri dipendenti una sede di lavoro più agile dell’ufficio. L’organizzazione del lavoro, in questo modo, diventa più leggera ed efficiente, senza dimenticare la diminuzione del traffico, dei problemi di parcheggio, dell’inquinamento dell’aria. Così, superata l’emergenza sanitaria, molti lavoratori hanno scelto di non tornare alla vita di prima; siamo all’inizio di una rivoluzione, dove i pilastri si chiamano ottimizzazione dei costi di real estate, digitalizzazione del lavoro, ripensamento della catena del valore nel mondo professionale.

La bomba sotto le nostre scrivanie

I co-workers gestisco il lavoro come vogliono, sia in termini di gestione del tempo e di obiettivi, la qualità della vita è migliore in un ambiente stimolante dove possono lavorare in modo individuale oppure confrontarsi con gli altri. Il coworking permette di lavorare lontano dall’isolamento domestico, magari in cucina in pigiama e ciabatte, ma fuori dai rigidi schemi dell’azienda. Al centro rimane l’elemento umano, la possibilità di relazionarsi con altri, di fare rete favorendo la nascita di idee e progetti.

È come essere in una stazione dove ogni giorno succede qualcosa di nuovo:

un luogo dove condividere esperienze, contatti, competenze e contenere i costi, sia degli eventi che delle strutture. Così tra «l’effetto grotta» del lavoro da casa da un lato e le logiche del distanziamento negli uffici dall’altro, il coworking è il migliore dei compromessi possibili. In fondo chi ha deciso che dobbiamo lavorare cinque giorni alla settimana per otto ore seduti davanti a un pc? Il Covid ha messo una bomba sotto le scrivanie dei nostri uffici: il coworking è il disinnesco.

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