La data del 15 giugno decreterà per la quarantena il termine della notte, direbbe Céline.

È bastata una notte, viaggio al termine della notte come all’inizio del romanzo di Céline, a Parigi, in Place Clichy.

Così il Coronavirus ha spezzato il grande tumulto delle folle, e mani, occhi, cuori, nella medesima strada deserta del Novecento.

Così abbiamo vissuto lo stesso smarrimento, lo stesso odore di morte di Bardamu, e siamo caduti davanti alla magnifica crisi dei tempi moderni: l’assenza di velocità.

Blackout di parole e corpi, corpi e parole; siamo ancora là, seduti, a guardare caffè vuoti e rose fiorite,  osservando il niente che si muove fuori dalle finestre.

Dove mai?  grandi cambiamenti!,  fuori dalla velocità il mondo è piccolo, come per Céline alla fine della Prima Guerra Mondiale.

La vita è un granello di sabbia caduto nel vento del futuro, e i pensieri? Anche quelli caduti nell’inutile verità del destino. Del resto anche Bardamu, spettatore del Novecento ci dice: «È cambiato niente! Anche le parole che son cambiate».

Comincia la nostra notte: viaggio al termine della notte nel silenzio di un 9 marzo che ha frenato la primavera, senza parola che sia amore.

Anche gli sguardi non possono violare la distanza da cuore a cuore.

E in questa lontananza siamo diventati “smargiassi” anarchici di un dio esasperato: «Un dio, che conta i minuti e i soldi, un dio disperato». Smarriti e sopravvissuti; comici e tragici, viviamo in nuove città claudicanti, solo all’apparenza uguali.

La cesoia del secolo appena nato, il coronavirus, fa trapelare dall’abisso una luce di fiori, e terrazze, e stazioni e chiese cave come buchi in rovina.

«La pioggia è caduta, e poi ancora sempre meno e poi più nessun incoraggiamento, non uno solo per la strada».

Da qualche parte, in un angolo, qualcuno ha pensato di tentare il passo supremo e di fermare la guerra. Ci siamo trovati anche noi nel laboratorio di Bardamu, curati alla meglio e con mezzi di fortuna, in piena emergenza sanitaria.

Dentro ospedali diventati nervi scoperti della lunga battaglia fra vita e morte. Battaglia di miseria, la nostra, che non si pente di avere, prima, assassinato il mondo.

E allora viaggio al termine della notte, un’altra notte, che non sa nulla di musica e sogni, che fugge nella febbre di una povertà imminente.

Povertà di spirito crivellata dal coronavirus, povertà che non può esprimersi senza argot. E di cui Céline è di nuovo un portavoce immaginario.

Del resto, ognuno continua a condurre la sua piccola guerra personale per sopravvivere, quella profonda, vera tra le vere.

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