Nel cuore di Barcellona, tra le austere colonne ottocentesche dell’Università, prende vita uno degli appuntamenti più attesi dell’anno per il mondo bridal: la Barcelona Bridal Night, evento clou della Bridal Fashion Week. Concepito come punto di convergenza tra creatività, heritage sartoriale e visione contemporanea, il gala, che ha accolto più di 450 ospiti selezionati, rappresenta la celebrazione massima dell’eccellenza nel settore della moda nuziale. Vetrina internazionale per la moda sposa, che accende i riflettori su The Edit, lo spazio dedicato alla creatività artigianale e i nuovi linguaggi bridal.
Protagonisti, Giambattista Valli, Elie Saab, Viktor & Rolf, Antonio Riva, Ines Di Santo, Isabel Sanchis, Yolancris, The Atelier by Jimmy Choo, Wang Feng Couture. In passerella, una sposa contemporanea prende forma attraverso tessuti sostenibili, ricami artigianali e tocchi boho, in un perfetto equilibrio tra radici sartoriali e visione moderna.
La prima di Andrea Kronthaler per Vivienne Westwood
In questo contesto straordinario, tra défilé, premi internazionali e installazioni immersive, si è consumata una prima assoluta destinata a segnare un’epoca: il brand Vivienne Westwood ha presentato, per la prima volta nella sua lunga e iconoclasta storia, una collezione interamente dedicata alla sposa. Un debutto che non è stato semplice esposizione di abiti, ma una vera e propria dichiarazione estetica e ideologica firmata da Andreas Kronthaler, direttore creativo della maison, vedovo della grande Vivienne, scomparsa nel 2022.
Una collezione manifesto creativo
La sfilata non si è limitata a portare in passerella 34 creazioni haute couture, ma ha incarnato un dialogo visivo tra passato e futuro, tra rigore sartoriale e tensione sovversiva, tra l’eterno e il caduco. Kronthaler, attraverso un lavoro di destrutturazione e ricostruzione concettuale, ha tracciato una nuova topografia del bridalwear, restituendo alla sposa un’identità molteplice, libera, profondamente umana. Lontano dalla retorica del candore assoluto o dall’omologazione di certi canoni tradizionali, ogni look ha rappresentato un gesto consapevole: abiti come sculture mobili, attraversati da linee architettoniche, innesti maschili, elementi punk e citazioni artistiche che sfidano le convenzioni senza rinnegarle.
Il corsetto che libera: rivoluzione di un simbolo
A colpire sin da subito è stato l’uso spregiudicato della forma. Il corsetto, firma inconfondibile della maison, è stato ripensato in chiave moderna: non più gabbia di costrizione ma struttura liberante, nucleo di potenza plastica da cui si irradiano volumi ora drammatici, ora essenziali. L’equilibrio tra rigore e fluidità ha trovato espressione in abiti trasformabili, con gonne intercambiabili, strascichi modulari e zip funzionali che restituiscono alla sposa il controllo del proprio corpo e della propria narrazione. È un romanticismo che non si piega alla fragilità, ma che la riscrive in chiave di forza estetica e autonomia.
Colori, carnagioni, culture: la nuova grammatica bridal
La monocromia del bianco è spezzata da incursioni di blush, avorio, cipria e accenni di blu: non sfumature casuali, ma scelte cromatiche mirate a dialogare con le diverse carnagioni e culture. La sposa Westwood non è mai generica: è la protagonista di un rito personale, in cui ogni abito si plasma sulle esigenze di una singola individualità. E se da un lato la tradizione è rispettata nei tessuti — organza, tulle, georgette lavata — dall’altro è sovvertita nei dettagli: catene metalliche pendenti, boa floreali, camicie ironiche, finanche citazioni pop come la T-shirt dei Simpson indossata dallo stesso Kronthaler in chiusura dello show.
Tra rococò e ribellione: omaggi e metamorfosi
Evitata ogni retorica cerimoniale per farsi, invece, teatro di tensioni visive. Riferimenti storici fusi con l’attitudine punk del brand: basti pensare all’abito d’apertura, una reinvenzione dell’iconico modello 1995 ispirato a Madame de Pompadour, riproposto in total white e indossato dalla musa Simonetta Gianfelici. Questo gesto, più che nostalgico, è un omaggio affettivo alla memoria di Vivienne, ma anche una dichiarazione di continuità creativa. Kronthaler, infatti, non imita la fondatrice: la rielabora, la interiorizza, la proietta nel tempo presente, rendendo ogni capo un’epifania personale e collettiva.
L’androginia come estetica della libertà
Altro punto nodale della collezione: il confronto tra maschile e femminile. Numerose uscite hanno mescolato abiti da sera con elementi di sartoria classica, blazer strutturati, pantaloni ampi, camicie destrutturate. L’idea di “rubare la giacca a lui” diventa una provocazione poetica: non è solo appropriazione, ma riscrittura dei ruoli. L’androginia dei modelli e la presenza di sposi-uomini in abiti da sposa amplificano il messaggio di inclusività radicale, in linea con una visione moda spazio di libertà espressiva e rifiuto del binarismo.
Barcellona tra natura e architettura
L’influenza di Barcellona è emersa non solo nella scelta della location o nella palette solare, ma anche nella vitalità organica degli abiti. Stampe floreali ispirate a Pierre-Joseph Redouté, reinterpretate con vibrante intensità pittorica, hanno evocato giardini segreti di una città che vive sospesa tra gotico e modernismo, così come le linee fluide delle gonne e dei veli sembrano dialogare con le onde del Mediterraneo mentre i drappeggi mobili suggeriscono una danza costante tra ordine e caos, proprio come le strade tortuose dell’Eixample.
Un pensiero sull’amore e sulla moda che resta
Ciò che rende maestosa questa collezione non è solo il risultato visivo, ma la visione che la sostiene. Andreas Kronthaler non ha semplicemente disegnato abiti: ha articolato un pensiero sul matrimonio, sul corpo, sul tempo. In un’epoca in cui la moda nuziale rischia spesso di chiudersi nella comfort zone dell’aspettativa sociale, Vivienne Westwood osa interrogarsi sul significato stesso dell’unione.
“Le cose brutte sono la metà di quelle belle”
le parole dello stilista, ed è forse proprio questa consapevolezza ad attraversare ogni punto della collezione: l’amore non come perfezione, ma come resistenza, scelta quotidiana, imperfezione abbracciata.
Un’eredità da indossare
Una sfilata che non è stata solo evento fashion, ma un manifesto emotivo e intellettuale. Un inno all’alterità, alla bellezza indisciplinata, alla possibilità di vivere ogni cerimonia — anche quella del matrimonio — come un atto di affermazione personale. In un periodo temporale che chiede definizioni nette, la moda di Kronthaler risponde con abiti che sfuggono ad ogni etichetta. Perché, in fondo, ciò che rende una sposa davvero indimenticabile non è l’abito che indossa, ma la storia che decide di raccontare attraverso di esso.