Il mondo del lavoro contemporaneo è caratterizzato da una continua ricerca di produttività, efficienza e, inevitabilmente, visibilità. In un contesto dove l’iperattività è spesso esibita come simbolo di successo e dedizione, si è diffuso un comportamento che sta suscitando una crescente attenzione, soprattutto tra i più giovani: il taskmasking. Ma cos’è esattamente questa pratica, e perché sta guadagnando così tanta visibilità sui social? E soprattutto, come mai sembra essere così strettamente legata alla Generazione Z? Cerchiamo di capirlo, iniziando col dare una definizione a questo nuovo modus operandi.

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Taskmasking: definizione e comportamenti

Questo termine indica un’apparente produttività: si dà l’impressione di essere sopraffatti dalle scadenze e dalle responsabilità, pur non avendo nulla di particolarmente urgente o impegnativo da fare. Si tratta di una sorta di illusione che serve a camuffare una condizione di “non lavoro” sotto il velo di un’apparente frenesia professionale.

definizione taskmasking - Life&People MagazineLe manifestazioni più comuni di taskmasking includono atteggiamenti come camminare velocemente con il computer portatile sotto braccio, simulare riunioni attraverso chiamate fittizie, o ancora, sbuffare e digitare rumorosamente sulla tastiera, creando l’impressione di essere costantemente impegnati. Questi comportamenti, a prima vista, potrebbero sembrare solo una serie di piccole finzioni innocue, ma in realtà sollevano domande più profonde sul modo in cui concepiamo il lavoro e la produttività nel nostro tempo.

La produttività performativa e la cultura del lavoro

Per comprendere questo fenomeno, è fondamentale considerare un aspetto più ampio che permea l’intero contesto lavorativo contemporaneo: la cultura della “produttività performativa”. Viviamo in un periodo storico in cui l’essere visibilmente occupati è diventato sinonimo di successo. La pressione di dover dimostrare costantemente il proprio impegno, anche a costo di sacrificare il benessere personale, ha raggiunto livelli preoccupanti, tanto da diventare una norma tacita in molte realtà aziendali.

definizione taskmasking - Life&People MagazineIn questo panorama, il taskmasking diventa una risposta ironica, se non addirittura sovversiva, a un sistema che misura il valore di una persona più in base alle ore che trascorre a “fare” (o a sembrare occupata), piuttosto che ai risultati effettivi ottenuti. Questo comportamento non solo mette in discussione il significato del lavoro, ma invita a riflettere sul valore del tempo e sull’equilibrio tra vita professionale e privata.

Generazione Z e il rifiuto del lavoro tradizionale

Ma perché è la Generazione Z la principale protagonista di questa tendenza? La risposta è multifattoriale. Da un lato, la Gen Z è cresciuta in un’epoca di rapidi cambiamenti tecnologici e sociali, dove la concezione di lavoro è diventata fluida e meno rigida. Il concetto di work-life balance (equilibrio tra vita privata e lavorativa) è diventato centrale, e i giovani di oggi non sono più disposti a sacrificare la propria vita personale per un impiego che, troppo spesso, è solo un insieme di riunioni senza fine e compiti poco significativi.

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Molti di essi, durante la pandemia hanno sperimentato lo smart working e si sono abituati a un modo di lavorare più flessibile e orientato ai risultati piuttosto che al tempo trascorso in ufficio. Tuttavia, con il ritorno alla “normalità” e alla riapertura degli uffici, si è verificato un conflitto tra il desiderio di libertà e la pressione di adattarsi ai vecchi modelli aziendali che premiano la presenza fisica.

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Il taskmasking, in questo contesto, diventa una sorta di reazione al sistema, un modo per ribellarsi senza esporsi direttamente. Se la produttività è misurata non dai risultati ma dall’apparenza di essere sempre occupati, allora perché non aderire alla “maschera” di un lavoratore assorbito dalle proprie incombenze, senza per questo dover cedere al logorio emotivo e psicologico che spesso accompagna l’essere realmente oberati di compiti?

L’influenza dei social media sull’ascesa del trend

Non sorprende che i social media, in particolare piattaforme come TikTok, abbiano amplificato questo fenomeno. Gli utenti condividono continuamente video in cui spiegano e mostrano i vari trucchi per apparire occupati senza esserlo veramente. Con l’hashtag #TaskMasking, la tendenza ha preso piede, raggiungendo milioni di visualizzazioni. Questi video, che insegnano come camuffarsi da lavoratore impegnato, sono spesso accompagnati da consigli su come navigare rapidamente tra riunioni e rispondere a messaggi con l’aria di chi si sente schiacciato da un pesante carico di lavoro.

cellulare - Life&People MagazineIl fatto che molti dei video siano diventati virali dimostra quanto il fenomeno stia colpendo nel segno. C’è una sorta di consenso tacito tra i giovani nel ritenere che se non puoi avere l’impiego che desideri, almeno puoi sembrare impegnato a farlo. Ma dietro questa tendenza si nascondono anche riflessioni più profonde: è davvero una soluzione? O è solo un modo per nascondere un disagio più grande, quello di vivere in un mondo del lavoro che continua a essere basato su logiche obsolete e disconnesse dalla realtà delle nuove generazioni?

Un’analisi critica

Sebbene il taskmasking possa sembrare una forma di autodifesa nei confronti di un ambiente lavorativo oppressivo, non è privo di implicazioni. La cultura della produttività performativa, se da un lato sollecita a reagire, dall’altro rischia di alimentare una spirale di frustrazione e disconnessione emotiva. È davvero sano e sostenibile lavorare in un sistema che ci impone di “fare” senza considerare la qualità e il significato di ciò che facciamo?

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Questo atteggiamento, inoltre, solleva importanti questioni etiche: è giusto mentire riguardo al proprio impegno per evitare lo stress? E se tutti iniziassimo a comportarci così, che fine farebbe il vero lavoro? Questa riflessione ci costringe a chiederci se il modello che stiamo cercando di emulare sia davvero quello che vogliamo. Forse, più che adottare tecniche per mascherare il nostro disagio, dovremmo cercare di ripensare completamente il nostro rapporto con l’attività che svolgiamo.

office - Life&People MagazineIl taskmasking è un sintomo di un malessere profondo, un prodotto di un sistema che ha bisogno di essere riformato. E la Gen Z, con la sua capacità di esprimere dissenso e cercare soluzioni alternative, potrebbe essere il catalizzatore di un cambiamento necessario.

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