La retrospettiva autobiografica dedicata a Elio Fiorucci a La Triennale arriva per portare luce al triste grigiore di una fredda e nebbiosa Milano. Il Palazzo dell’Arte, istituzione culturale lombarda, è pronto ad accogliere, – la mostra fino al 16 marzo 2025 – l’universo multicolore del designer e visionario milanese, noto cacciatore di tendenze, uno dei pochi a cui è concesso l’appellativo di “imprenditore della moda” e la cui presenza continua a incombere nella contemporaneità, nonostante per anni caduta nell’oblio. Un evento organizzato in occasione del decennale dalla scomparsa dell’imprenditore e artista che nel colore trovò la cifra distintiva della sua produzione; a 10 anni dalla sua morte, l’eredità di Fiorucci nell’arte è qualcosa di imponente.
Nello spazio allestito dal regista e scenografo teatrale Fabio Cherstich,
sono raccolti cinquecento oggetti, in un viaggio emozionale che rievoca la genialità creativa e anticonformista di un’anima poliedrica che è riuscita a rivoluzionare il mondo della moda, diventandone un interprete e protagonista indiscusso a livello internazionale. Curata da Judith Clark, art director, exhibition curator e professoressa di moda e museologia alla UAL-University of Arts di Londra, la mostra evidenzia un percorso in cui moda, arte, musica e cultura trovano la giusta dimensione in una vetrina non solo informativa ma anche antropologica. La retrospettiva, attraversata dalla voce di Elio Fiorucci diffusa da altoparlanti e registratori, si sviluppa in un percorso espositivo cronologico che ripercorre le vicende umane, imprenditoriali e culturali del designer in dialogo con scritti, video, appunti inediti e voci di altri protagonisti della storia dello stilista, facendo trapelare al visitatore un nuovo sguardo sulla sua figura. Un miscuglio di oggetti che dialogano per esprimere sensazioni speciali.
Anticipatore di mode e tendenze
Fiorucci si è distinto da sempre per il suo stile provocatorio, ironico e rivoluzionario, che ha influenzato oltre la moda e il costume, anche l’arte contemporanea a partire dagli anni ’60, da quando portò la Swinging London, il pop e la mini di Mary Quant, in un’Italia poco cool, legata ancora a un’eleganza opulenta e malinconica. I suoi store erano punti di incontro di artisti di ogni genere, musicisti e intellettuali; dal negozio di San Babila a Milano, meta prediletta di giovani ribelli amanti di pezzi eccentrici all’avanguardia, al celebre daytime Studio 54 di New York che ospitava la rivista Interview di Andy Warhol con il quale nacque un profondo sodalizio. La visione e lo stile di Fiorucci erano sì democratici ma profondamente dirompenti, sostenuti dalle campagne pubblicitarie irriverenti create dal fotografo Oliviero Toscani.
L’esposizione de La Triennale si cala alla perfezione nel mondo di Fiorucci,
raccontando la visione dell’artista in modo delicato e leggero per accogliere un pubblico più vasto e consapevole di un’eredità unica che ancora oggi affascina e sorprende. Un riconoscimento speciale al genio irriverente che ha fatto della cultura popolare il suo segno distintivo. La capacità di Elio di dipingere il mondo con colori e fantasie era unica tanto da influenzare l’industria fashion oltreoceano. I suoi capi, i suoi oggetti, i suoi prodotti, erano intrisi di grande personalità, andavano oltre ciò che essi rappresentavano, in grado di creare una relazione profonda con chi li possedeva; come diceva lo stesso Fiorucci:
“per cercare idee nuove è necessario guardare gli altri, andare oltre le apparenze, leggere tra le righe non solo della moda ma soprattutto della vita quotidiana. Moda per me significa diversi modi di vivere il proprio corpo, le proprie abitudini, così che ciascuno sia in grado di essere se stesso».