Conformarsi dopo il trasferimento in una nuova città vuol dire mettere in pratica un’atavica strategia di sopravvivenza: l’arte di adattarsi, al meglio delle proprie possibilità, all’ambiente circostante. Assorbirne camaleonticamente i colori, le sfumature e tutti quei connotati che riusciamo a riporre nel nostro armadio, prima ancora che nei cassetti della nostra personalità. Cambiare pelle per assumere i tratti distintivi del nostro nuovo ecosistema, onde evitare di essere fagocitati da esso. Il cambio di stile in una nuova città è un processo curioso, affascinante, ma soprattutto inevitabile.
Ridurre questo fenomeno a una questione “climatica” e stagionale sarebbe fin troppo semplicistico. Certo, affacciarsi dalla finestra per sentire che tempo fa resterà in eterno il rituale che condiziona maggiormente la selezione quotidiana di abiti; Tuttavia, ci sono moltissimi altri fattori che influenzano il nostro stile. La psicologia si è espressa ampiamente in materia, e ci insegna che tramite la scelta dei vestiti si cerca di riflettere il proprio stato d’animo. Questo può voler dire sentirsi sicuri di sé, potenti, sexy, oppure, a volte, persino vulnerabili. Importante è che l’abbinamento scelto risuoni ai nostri occhi (e così pure, evidentemente, alle nostre orecchie) con le parole che meglio descrivono il modo di essere e di percepire il nostro “io” in quel determinato momento storico.
Ma il sentimento che ci accompagna
forse più spesso di tutti, purtroppo o per fortuna, è quell’ineluttabile bisogno di sentirsi accettati. Questo vale in famiglia, in amore, nei più svariati contesti sociali e dunque perfino in una nuova città. Provare ad essere addirittura accolti da essa, dai suoi abitanti, come fossimo tutti invitati ad una ideale festa con dress code obbligatorio. Bussare alla sua porta, entrare in punta di piedi, provare a confondersi tra gli invitati e rifuggire dall’imbarazzo di ritrovarsi a ricoprire il ruolo di “ultimi arrivati”.
Oppure, più semplicemente, riuscire a mimetizzarci tra le vie, i negozi e i monumenti, muniti del nostro personale lasciapassare: l’outfit composto con grande fatica prima di uscire per strada. Non sorprende, dunque, viste queste premesse, riuscire ad identificare uno stile ben preciso per ogni città d’Italia e del mondo. Dalla moda spregiudicata, moderna ed internazionale milanese, alla raffinatezza classica e Made in Italy di Venezia e Firenze, fino alla fantasia e ai colori sgargianti tipici del sud. La ribellione punk e lo streetwear bolognese, città studentesca per eccellenza: i capoluoghi della nostra penisola presentano tutti dei codici stilistici ben definiti.
Rispettare i codici è una scelta
ma adeguarsi alle regole del gioco è spesso un obbligo sociale. Questo vale anche, ad esempio, in ufficio, dove esistono vincoli ben definiti e impossibili da aggirare. Le imposizioni possono essere talvolta anche culturali, in nome della religione o del decoro. L’abito fa il monaco, fungendo sistematicamente da strumento di trasmissione di informazioni su chi lo indossa. Ciò che vestiamo gioca un ruolo importante nel creare una impressione positiva (di quelle che poi sovente restano per sempre) in chi ci conosce per la prima volta.
Foulard e baschi alla francese prima di recarsi a Parigi, comprare un bel parka con cappuccio prima di andare a Londra: tutte micro-espressioni di un imminente cambio di stile look ed outfit per trasferirsi in una nuova città. I cambi nel nostro guardaroba, di contro, potrebbero riflettersi anche sulla nostra personalità, e scatenare l’eterna lotta tra il desiderio di distinguersi e quello di adeguarsi, tra il senso di appartenenza ad un gruppo e la nostra identità individuale. Venire influenzati dall’ambiente che ci circonda, nonché dalle persone che lo respirano, è un fenomeno naturale, ma questo non significa certo dover rinunciare al proprio gusto estetico e alla propria personalità, scendere troppo a patti con le nostre inclinazioni, è risaputo, può avere effetti collaterali catastrofici.