Un po’ druidi e un po’ alchimisti, gli chef del bosco – tra cui Davide Nanni – sono veri e propri sacerdoti della natura che combinano ingredienti, tecniche e procedimenti per dar vita a piatti autentici, inediti, capaci di raccontare la vera essenza di un territorio. La nuova frontiera della cucina italiana si chiama wild kitchen e passa per la conoscenza approfondita delle erbe, delle radici, dei bulbi e degli animali che abitano i boschi, le campagne, gli orti e gli allevamenti domestici. Abolite le farine raffinate, i grassi nocivi e qualsiasi tipo di preparazione industriale, gli chef fanatici del km zero diventano intransigenti quando si tratta di provenienza delle materie prime e di lavorazione rispettosa degli elementi. Adorano gli ingredienti più selvatici, poveri, difficili per nobilitarli attraverso sapienti accostamenti in ricette di caratura e sapidità ineguagliabili.
Cucina naturale, quasi selvatica
Tra i primissimi chef sostenitori del cibo “duro e puro” si annovera l’altoatesino Heinrich Schneider del ristorante Terra – due stelle sulla guida Michelin – da sempre cultore delle erbe selvatiche e promotore delle primizie della Val Sarentino. Egli stesso si reca nei boschi e lungo i sentieri di montagna alla ricerca dell’essenza più adatta alle sue creazioni gastronomiche: l’aglio orsino utilizzato per fare dei pesti oppure dei ripieni per i ravioli, l’alchemilla impiegata per rendere profumate le insalate, lo spinacino selvatico per nobilitare il sapore del tartufo nero, la pimpinella pestata fino a diventare salsa verde per la carne, il tarassaco e l’edera terrestre usati in modo dolce e delicato per farne gelato.
Sulla sua cucina, esposta a sud e aperta al paesaggio montano tramite grandi finestre, atterra sempre il sole. Mentre armeggia tra i fornelli, osserva i caprioli fare colazione, quando tratta le erbe, cerca di mantenerne la linfa pura e fresca che scorre al loro interno da milioni di anni.
Del bosco non si butta via nulla
Un altro chef della cucina sciamanica e dalla personalità rigorosa è Salvatore Tassa, il “cuciniere di Acuto” come ama definirsi. Brodo di castagno, tartare di lepre e sorbetto di muschio le specialità che si possono degustare nel suo ristorante le Colline Ciociare, che prende nome dal territorio d’appartenenza. Per lo chef ogni ingrediente è degno di attenzione, ogni elemento è custode di note cromatiche, olfattive e gustative dalle infinite declinazioni.
Come le rape, o la cicoria selvatica, o le foglie di castagno: erbusti apparentemente privi di qualsiasi attrattiva culinaria, che se ascoltati e opportunamente dosati sono capaci di ribaltare un (pre)concetto, caratterizzare una ricetta. Salvatore Tassa ne è convinto ed esercita la sua verve alchemica ogni giorno, durante lunghe passeggiate nelle selve in cui non rinuncia a inginocchiarsi per terra alla ricerca di una radice sconosciuta, un frutto raro, un legno particolarmente aromatico. Con le narici li annusa, coi palmi li carezza, coi polpastrelli li massaggia, con l’esperienza li combina.
Lo chef in armonia con la natura
Una star della sostenibilità in cucina è Davide Nanni, abruzzese, legatissimo all’identità del suo territorio e alle sue radici contadine. Nel suo agriturismo Locanda Nido d’Aquila lo chef selvaggio recupera sapori e tradizioni tramandate di generazione in generazione, estremizzandole in purezza e sincerità. La sua cucina “libera, sincera e selvaggia” ha dato anche il titolo a un libro pubblicato per Mondadori dove colleziona ricette cucinate nei boschi con spirito sauvage e anticonformista.
Sui social spopola la crostata della nonna Dalia, ovviamente realizzata en plein air, circondato dalle selve della Valle del Sagittario, a 1000 metri d’altezza. Su un asse di legno appoggiato sulle pietre e in due pentole che ospitano la cottura di qualsiasi ingrediente, lo chef druido prepara ricette con materie provenienti dalla sua azienda agricola, aperta solo da Pasqua a settembre: “Quando le pecore non hanno più latte, chiude il ristorante, all’insegna della cucina etica e sostenibile”.
Gli Instagrammer e i reel en plein forest
La tendenza di selezionare gli ingredienti in purezza e di cucinare en plein air tra le radure di un bosco o in aperta campagna è approdata anche sui social. Sono sempre più gli instagrammer che ambientano le proprie sessioni culinarie all’aperto, con l’ausilio di fornelli da campeggio, falò e bracieri. L’hashtag “wild food” – cibo selvatico – supera i 644mila post.
Nei video spopolano cuochi che spadellano con maestria su piccole fiamme, puliscono verdure al torrente, diliscano il pesce sui taglieri, insaporiscono zuppe con erbe di campo e lievitano pan di spagna tra le braci. Complici le essenze lignee ma anche le erbe introvabili così come i frutti del bosco come pinoli, castagne e funghi, i piatti acquisiscono un fascino e un sapore unici. Una modalità che obbliga alla concentrazione e all’immersione nella pratica culinaria, un modo di cucinare analogico che apre la strada verso la mindfullness e l’armonia con il creato.