Non chiamateli manichini. Perché le installazioni di Francesco Colucci, che da oltre 10 anni animano le iconiche vetrine di Traid, organizzazione benefica e catena di abbigliamento second-hand, sono molto più di questo. Sono vere e proprie opere di visual art, realizzate interamente con vestiti destinati allo scarto. Attraverso queste, il window dresser italiano ha costruito la riconoscibilità identitaria del marchio che ogni anno sottrae alle discariche circa 3000 tonnellate di abiti e, riconoscendosi appieno in questa mission di sostenibilità e riciclo, Colucci ha soprattutto avuto la possibilità di trovare la cifra estetica della propria creatività.
Giocando con stratificazione e sovrapposizione di materiali, tessuti e forme, ha dato vita a una espressività, visionaria e surrealista che abbatte qualsiasi barriera di genere. Il suo talento, continuamente in mostra nelle vetrine dei dodici negozi Traid sparsi per Londra, ha raggiunto il plauso della critica, apparendo sulle principali riviste inglese e nazionali.
Da Roma a Londra
Ma chi è Francesco Colucci, che partendo da Roma come uno dei tanti expat ha trovato la propria strada e arte nelle vie di Londra? Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti in pittura nel 2006, ha iniziato a collaborare con l’artista visiva Paola, acquisendo esperienza in particolar modo nel mondo dell’installazione e costume teatrale. Ed è propria questa competenza che gli torna utile quando nel 2009 decide di trasferirsi a Londra: qui inizia a lavorare come assistente di vendita per Traid. In quella immensa raccolta di abiti di seconda mano, la cui vendita sovvenziona progetti per migliorare le condizioni dei lavoratori nel mondo del fashion, Francesco trova la propria ispirazione. Dopo tre anni, la sua capacità di creare vetrine che colpiscono l’attenzione del grande pubblico è ormai sotto gli occhi di tutti. Traid decide di creare una nuova posizione lavorativa, visual merchandiser, appositamente pensata per lui.
Abbattere le barriere
“Le vetrine dei negozi sono diventate la mia tela” afferma Francesco Colucci, che grazie ad esse trova la possibilità di raccontare storie, trasmettere messaggi e soprattutto intraprendere “un viaggio incredibile alla scoperta di sé e della propria crescita”.
In poco tempo la sua opera, che s’ispira all’arte del travestitismo, ma anche al teatro giapponese e dadaismo di Marchel Duchamp, raccoglie il consenso di tutti quelli che passeggiano per le strade di Londra: non fermarsi ad ammirare quelle creazioni originali ed esagerate, colorate, piene di piume e tulle è impossibile.

Photos © Francesco Colucci
È impossibile perché quegli abiti, che oltrepassano volontariamente qualsiasi schema, parlano ad una comunità eterogenea che rifiuta categorizzazioni e definizioni; una comunità immensa che in quella libertà espressiva e creativa, trova la rivincita contro tutte le barriere imposte da una società che ancora ha difficoltà ad accettare la diversità. Ecco allora che i suoi non sono più semplici manichini ma diventano il simbolo di un riconoscimento; diventano espressione della comunità Lgbtqia+ che nell’opera di Francesco Colucci ritrova se stessa.
Colucci al V&A Fashion in Motion
Tutto questo coacervo di creatività ed espressività trova la piena consacrazione quest’anno. Francesco Colucci è infatti il primo protagonista del Fashion in Motion, una serie di sfilate di moda che il Victoria & Albert Museum promuove nella sua sede di South Kensington dal 1999. All’interno della Raphael Gallery, il visual artist porta per la prima volta non solo i suoi straordinari disegni ma l’intero processo ideativo delle sue installazioni eleganti, armoniose eppure straordinariamente provocatorie. Sostenibilità, autoespressione e reinvenzione sono le parole chiave della sua arte. Ispirata al movimento surrealista, ad Alexander McQueen e all’artista performativo Leigh Bowery, l’estetica distinta e non ortodossa di Colucci racconta una storia che va al di là della pura installazione. Il messaggio che lancia dalla famosa istituzione londinese è forte: ci ricorda che la ricerca della propria identità passa dalla sperimentazione e dal coraggio di osare.