Biba: due sillabe, un’unica grande rivoluzione
. Il nome per esteso è Barbara Hulanicki ed è stato grazie a lei che gli anni ’60 hanno concepito la moda come quel luogo di massima espressione di libertà, dove tutto poteva accadere e le gonne potevano essere talmente corte da lasciar intravedere il colore degli slip. A raccontare con dovizia di particolari la storia che ha reso contemporaneo il guardaroba femminile è una mostra dal titolo ‘The Biba Story, 1964-1975’, allestita presso il Fashion and Textile Museum fino all’8 settembre. Ciò che ha significato Biba ed il suo negozio di Kensington High Street non può essere spiegato a parole; probabilmente si incapperebbe nell’errore, per lo più di noi posteri, di diventare eccessivamente nostalgici se non addirittura didascalici.
Ma Barbara Hulanicki, se proprio è necessario mettere i puntini sulle i,
ha insegnato tanto e l’ha fatto nel modo più incisivo possibile, ovvero lasciando liberi tutti di agire, pensare e professare. Oltre alla moda, Biba ha significato comunicazione, libertà, stravaganza e, perché no, anche rispetto. Il rispetto per se stessi, innanzitutto, e verso quelle sfumature di identità troppo spesso oppresse e soppresse dal perbenismo filisteo di certe culture e civiltà, come quella radical chic anglosassone.
Dietrologie a parte, – tornando alla mostra -, è chiaro che il reportage fotografico racconta tantissimo del Biba’s Postal Boutique in un primo momento si trattava solo di un e-commerce ante litteram) e altrettanto di quelle giovani donne abbagliate dal mini abitino bianco e rosa in stile Brigitte Bardot che volevano sentirsi tanto giovani fanciulle d’oltralpe col visino d’angelo e l’animo infiammato e sicuro da quella sicurezza economica che poi, nel decennio successivo, avrebbe significato crisi sociale e disoccupazione.
Dunque, a Barbara Hulanicki non restava altro che mettere in produzione il suo buon gusto
coltivato nella scuola d’arte di Brighton e la sua attenzione giovanilistica. Così, iniziò la vendita di capi freschi, giovanili, che tutte volevano soprattutto per il suo accessibile costo. Sempre contenuto, sempre alla portata di tutti, Biba innescò il grande meccanismo della grande distribuzione che non voleva vantare listini da atelier ma fiumane di persone all’ingresso prima dell’apertura. Esattamente come accadde di lì a poco quando la Hulanicki aprì un primo negozio a Kensington, su Abingdon Road, e poi su Kensington Church Street; è’ in quest’ultimo che scoppiò tutta la stravaganza del brand Biba.
Le donne potevano trovare ogni cosa, dal vestitino al gioiello, dalla borsa al cosmetico e addirittura complementi d’arredo. Definito come un ‘place to be’, ovvero un posto dove sei tutto e puoi essere tutto. In pratica, esiste oggi una mentalità tra i ragazzi che guardano il centro commerciale come una sorta di paradiso dalle preoccupazioni, anche economiche. Ecco, questo è avvenuto grazie a brand come Biba, una sorta di cattedrale cittadina dove chiunque poteva desiderare e trovare qualunque cosa; anche un caffè.
Nel percorso della mostra al Fashion and Textile Museum,
lo spettatore non si troverà soltanto di fronte alle foto più narrative del significato della Biba. Le tappe del successo del brand di Barbara Hulanicki saranno documentate anche da quei volti celebri che hanno reso indimenticabile quella esperienza sociale. Il riferimento è scontato e immediato a Twiggy, la modella per eccellenza degli anni ’60, e alle mini che hanno di fatto spezzato il grigiore del dopoguerra dal tipico sapore impolverato inglese.
Ed è qui che si contestualizzano esperienze come quella di Mary Quant, Ossie Clark, Granny Takes a Trip: esperienze che hanno un significato incisivo su tutto ciò che le donne hanno conquistato in ambito sociale fino ai giorni nostri. La portata sociale di Biba nell’arco di quel cruciale decennio inglese ebbe la sua risonanza fin da subito, dunque, e il punto più alto di questo climax ascendente fu l’apertura del Big Biba, un grande magazzino che vantava ben sette piani tematici, tutti differenti tra loro.
Parola d’ordine: eccesso, di qualsiasi cosa
Biba divenne tutto quello che si poteva immaginare impossibile: dal giardino pensile con tanto di fenicotteri, ad uno zoo visivo, fino a veri e propri set cinematografici alla portata di tutti. David Bowie, Diana Ross, Brigitte Bardot, Barbra Streisand, i Led Zeppelin, i Queen, i Rolling Stones erano soltanto alcuni dei grandi personaggi di tendenza che era possibile incrociare tra un piano ed un altro o al Rainbow Restaurant del quinto piano.
In mostra anche quelle foto che ritraevano momenti di questa vita che sembra uscita dal cervello di qualche regista visionario, fotografie che sembrano vere e proprie illustrazioni, ironicamente così simili a quelle che ha studiato fin da giovane Barbara Hulanicki. Poi tutto divenne ricordo, nel 1975, quando Big Biba chiuse a causa di incomprensioni di marketing. Ma la traccia della stravaganza di Barbara è rimasta in quello stesso edificio smantellato dal sogno. Fu Freddie Mercury a rilanciare quello storico edificio, che ora ospita i Kensington Roof Gardens, seimila metri quadrati di eccentricità raccolti in uno dei giardini pensili più grandi d’Europa.