Atmosfere spoglie ma piene di una poesia che riesce a trasmettere allo stesso tempo malinconia e un forte senso di oppressione: in contrasto con lo sfarzo delle riviste, gli imperativi dei lavori su commissione e la sovraesposizione mediatica della sua famiglia, le foto più famose di Kate Barry hanno regalato emozioni indimenticabili ai visitatori della retrospettiva sulla figlia di John Barry e Jane Birkin – scomparsa dieci anni fa a seguito di una caduta dal quarto piano del suo appartamento nel XVI arrondissement – al “Quai de la Photo” di Parigi.
La morte dell’allora 46enne, avvenuta l’11 dicembre 2013, ha sconvolto la vita di molte persone e dei famigliari, ma il suo lascito artistico è immenso: il catalogo della mostra “My own space”, ad esempio, è un insieme prezioso di scatti in cui la fotografa di moda esprime la sua complessa interiorità.
Paesaggi desolati
Barry è celebre soprattutto per i suoi ritratti, molti dei quali commissionati dal mondo della moda della musica e del cinema, ma la sua produzione è decisamente più ampia e comprende alcuni splendidi paesaggi (tema artistico che iniziò ad esplorare dal 2002 in poi) e un reportage fotografico pensato per celebrare il quarantesimo anniversario del Rungis, uno dei più grandi mercati agroalimentari del mondo che si trova alle porte di Parigi: ogni singola immagine, al di là del soggetto immortalato, è il risultato di una ricerca intransigente dell’autenticità, di un lavoro certosino di riduzione al grado zero della semplicità di persone e oggetti.
I luoghi fotografati, in particolare, spesso marginali o abbandonati, sono intrisi di malinconia: il tocco di Barry è delicato, fragile, introspettivo e i paesaggi spalancano un’ideale porta all’osservatore attraverso la quale accedere alla personalità dell’artista, la quale decide di confinare per sempre in un’istantanea ansie e silenzi inesprimibili a parole. Considerando la parabola di vita dolorosa e le tragiche circostanze della sua morte, è difficile rimanere indifferenti all’immagine di una scala che scende ripidamente verso una spiaggia deserta, o quella di un muro di cemento, oppure, ancora, alla vista di un albero perso nel mezzo di un deserto.
Ritratti lontani dai cliché
In tema di ritratti, Barry era alla costante ricerca della più pura imperfezione umana: la sua sconfinata pazienza artistica causava lunghe sessioni di posa, utili a far cadere la maschera e qualche cliché, e a individuare l’essenza del soggetto da immortalare. Da tali presupposti presero vita alcune immagini con protagoniste dive senza tempo come Carla Bruni, Laetitia Casta, Isabelle Huppert, Monica Bellucci, Catherine Deneuve, Sophie Marceau e le sorelle Charlotte Gainsbourg e Lou Doillon. Quest’ultima ha parlato più volte della scelta della sorellastra di non voler mettere del tutto a proprio agio le modelle da fotografare: “Spesso capitava che aspettasse molto tempo, anche ore, prima di scattare; quell’attesa era decisiva perché le fotografie poi risultavano espressive e profonde come non mai”.
Il rifiuto dei dogmi
Nel 2009 Barry rilasciò un’intervista alla stampa francese in cui mise l’accento sulla difficile coesistenza tra la propria indole artistica e le regole imposte dal mondo della moda:
“L’aspetto che non mi piace quando fotografo le star è la mancanza quasi totale di libertà: oggi non potrei mai rifare alcune foto in cui le attrici non sembrano belle a prima vista e non sorridono. Ciò che piace alla modella, ciò che incontra il mio gusto e quel che desidera la redazione di un magazine sono tre pareri differenti e il punto di vista del fotografo ormai non prevale quasi mai. Mi chiedono di far indossare un certo vestito, di far portare certi gioielli: gli editori pretendono una bella foto, non vogliono un ritratto. Non sono mai stata brava a realizzare le copertine delle riviste, ho sbagliato quasi ogni volta”.