Non poteva che essere la Francia, culla dell’haute couture, il primo Paese a mettere ai voti una legge per contrastare le derive del fast fashion. La moda inquinante, che antepone la vendita e lo smercio in quantità massive alla qualità, ha trovato così un suo primo nemico, che si veste da tale per tutelare i consumatori (persino quelli che non vedranno di buon occhio l’opposizione a Shein e simili). Negli ultimi anni i dati parlano chiaro, evidenziando il volume della minacciosa macchina targata fast fashion. La produzione smodata di migliaia di capi da proporre quotidianamente al pubblico di compratori (soprattutto online) crea allo stesso tempo future ingombranti, ingestibili ed ancora inquinanti tonnellate di rifiuti. Caratteristica definente il fast fashion è infatti proprio il brevissimo ciclo di vita dei capi. Le repliche ispirate alle creazioni delle alte firme si tramutano così in acquisti emozionali, poi in scheletri negli armadi e infine in dannoso materiale da macero. A prenderne piena coscienza devono essere così da un lato i consumatori, ma dall’altro inevitabilmente anche i legislatori, soprattutto coloro i quali sono chiamati a tutelare il tessile in quanto settore di punta del proprio Paese.

Fast Fashion legge | Life&People Magazine

Una legge al voto in Francia per ostacolare il fast fashion

La questione è importante e sentita sotto un duplice aspetto. Immancabile è infatti da un lato considerare l’impatto ambientale di tutta la catena produttiva di capi realizzati esclusivamente per generare fatturati da capogiro in barba a canoni ormai sempre più stringenti. Il settore tessile contribuisce d’altronde, nel suo complesso, ad un decimo dei gas serra prodotti annualmente a livello globale ed è necessario imporre limiti e attuare strumenti affinché questi non vengano superati. La sostenibilità di prodotti ideati per rispondere ad un utilizzo stagionale è ormai prossima allo zero, dal punto di vista ambientale, ma anche economico visto il costo esorbitante dello smaltimento dei capi che bruciano le tappe nel percorso dalla produzione alla discarica. Inoltre, dal punto di vista etico e di tutela della filiera, inizia a farsi evidente la volontà di distinguere il prodotto di alta moda da ciò che non può definirsi nemmeno vagamente tale.

Come fermare la deriva della moda ultra-veloce?

Così il Paese della libertà e dell’uguaglianza vota. Lo ha fatto una prima volta l’Assemblea Nazionale il 15 marzo, dove è stato accolto il disegno di legge contro il fast fashion. Le intenzioni sono limpide: rendere coscienti i consumatori invitandoli, su tutte le piattaforme di vendita online, a riciclare, riparare e riutilizzare i prodotti di abbigliamento; tassare chi non si attiene nel corso della produzione alle norme su impatto ambientale ed emissioni; oscurare a livello pubblicitario aziende che vivono di produzione massiccia di capi e accessori ultra-fast.

Shopping fast fashion | Life&People Magazine

E l’Italia? L’effetto contagio potrebbe smuovere la moda nostrana

Per il via libera definitivo alla nuova serie di norme bisognerà aspettare la conferma del Senato, che potrebbe dunque sancire l’impegno della Francia nel contrastare con la legge il fenomeno fast fashion, sempre più spauracchio per l’intero settore. Infrangere l’inerzia potrebbe causare un effetto domino virtuoso e dare una svolta al mercato ormai preda di produttori seriali, anche se l’efficacia degli strumenti individuati dalla politica d’Oltralpe è ancora tutta da dimostrare. L’Italia dal canto suo è ancora ferma al piano definito Strategia per tessili sostenibili e circolari che prevede azioni continue di miglioramento nella gestione dei rifiuti derivati dal settore moda tali da arrivare nel 2030 con costi di smaltimento il più possibile vicini allo zero. Tempi lunghi, ma che proprio grazie all’intraprendenza francese, se presa a modello, potrebbero ridursi notevolmente.

Condividi sui social