C’è una notte all’anno in cui le star di tutto il mondo indossano abiti da sogno, è la notte degli Oscar evento attesissimo che vede salire sul palco degli Academy Awards celebrità del cinema con look studiatissimi. La scelta dell’outfit vede protagoniste diverse personalità, dallo stylist della star al team della maison che la vestirà. Un articolato lavoro di squadra che inizia molto tempo prima con un obiettivo ben preciso: far sì che l’abito indossato alla cerimonia possa scrivere una pagina importante nella storia della moda. Sfoggiare un look destinato a diventare iconico sul palco non significa soltanto essere testimonial delle creazioni degli stilisti più amati, bensì trasmettere un messaggio.
Il protest dressing sul red carpet nel 1936
Se è vero, infatti, che la moda è in grado di ‘parlare’, la notte degli Oscar offre un potente megafono per diffondere, su scala mondiale, ideologie e denunce, siano esse politiche, sociali o culturali. La prima volta è accaduto nel 1936 quando Bette Davis, scelse di ricevere la sua statuetta d’oro come miglior attrice con indosso un vestito, creato da Orry-Kelly, simile a quello di una cameriera.
Un abito che rievocava il costume con cui l’attrice era apparsa, l’anno prima, in “Schiavo d’amore”: una chiara protesta per non essere stata candidata all’Oscar come interprete di quel film. Nasce, così, il concetto di protest dressing su un red carpet.
Uno stretto legame tra stilisti e star
Ci sono, poi, abiti che hanno sancito l’inizio di una indissolubile liaison tra star e stilista come quella tra Audrey Hepburn e Hubert de Givenchy. Pare che nel 1954 la protagonista di “Vacanze Romane” sia salita sul palco degli Oscar, per essere premiata come miglior attrice, con un abito che il couturier francese aveva riadattato per lei partendo da uno degli abiti di scena del film.
Fu quello l’inizio di un’amicizia talmente intensa che la Hepburn inserì nei suoi contratti cinematografici una postilla indiscutibile: Hubert de Givenchy sarebbe stato da quel momento l’unico a creare i suoi abiti da scena.
Abiti che lanciano messaggi di cambiamento
Donne decise e determinate, dunque, come dimostra anche la scelta inusuale di Julie Christie nel 1966. Quell’anno, l’attrice rompe una delle principali tradizioni non indossando, come stabilito dal dress code imposto, un abito lungo fino alla caviglia. La Christie è stata, infatti, la prima donna ad aver portato un paio di pantaloni sul palco degli Academy Awards indossando una tuta di lamè dorato in palette con la statuetta consegnatale per “Darling”.
Una scelta dietro cui si celava la necessità di creare una nuova identità per i giovani attraverso un abbigliamento libero da regole. Il gesto di Julie Christie era l’espressione di quel movimento culturale passato alla storia con il nome di Youthqake.
Veri e propri costumi di scena
Tra i più ‘preziosi’, poi, ricordiamo il ‘surreale’ vestito indossato nel 1995 da Lizzy Gardiner sul red carpet degli Oscar. Era interamente ricoperto da carte oro della American Express e sfoggiarlo era colei che stava ricevendo l’ambita statuetta come miglior costumista in “Priscilla, la regina del deserto”.
E, se negli anni ’90 andava di moda tra le star provocare con un gold look, nel millennio successivo si osa ancor di più. Il podio per l’abito più eccentrico e stravagante della storia degli Oscar spetta, senza dubbio, a Björk che, nel 2001, appare sul tappeto rosso nelle vesti di un cigno.
L’abito performance di Björk
Un vero e proprio costume di scena, più che un semplice abito, in tulle e organza, realizzato da Marjan Pejoski, più volte esposto in occasione di mostre dedicate alla moda. Creazione, tra l’altro, perfettamente in linea con l’elemento drammatico che contraddistingue la popstar islandese, candidata quell’anno per la miglior canzone originale in “Dancer in the Dark”. Come in ogni scena ‘teatrale’ che si rispetti, Björk ha, inoltre, fatto ricorso, per l’occasione, ad un oggetto scenico: l’artista lasciò cadere, più volte, uova di struzzo, emblema di fertilità.
Una vera e propria performance che omaggiò i musical di Busby Berkeley ed Esther Williams, nonché il costume da Leda indossato da Marlene Dietrich. Dunque il cinema continua a raccontarsi anche oltre la macchina da presa. Lo fa attraverso le scelte di star che, per la notte più attesa dell’anno, si vestono di citazioni filmiche come se i loro abiti fossero una pellicola e i couturier che li realizzano registi di una storia da scrivere.