Regista, sceneggiatrice, fotografa, icona. La storia del cinema deve molto ad Agnès Varda, una delle personalità più forti della settima arte, nonché precorritrice della Nouvelle Vague. Il suo contributo verrà ricordato per sempre: in un periodo difficile come gli anni Cinquanta la belga riuscì ad abbattere il gender gap affidandosi esclusivamente alla sua forza creativa, diventando simbolo della lotta femminista.
Un carattere forte fin dall’adolescenza
Arlette Varda, questo il vero nome della cineasta, nasce ad Ixelles, in Belgio, da padre greco e madre francese. Tuttavia si trasferisce molto presto in Francia, trascorrendo parte della sua adolescenza a Séte per poi giungere a Parigi dove, già adolescente, comincia a lavorare come fotografa al Theatre National Populaire, centro diretto dal celebre Jean Vilar. Una passione scaturita in precedenza dall’amore per le arti plastiche, emersa grazie agli studi all’École des beaux-arts di Parigi e l’École du Louvre.
Non appena raggiunta la maggiore età la giovane prende due decisioni molto importanti, nonché esemplificative, per la propria vita: oltre a cambiare il suo nome da Arlette ad Agnès, la belga adotta una capigliatura a caschetto che non cambierà mai fino alla morte. La motivazione è sociale: l’acconciatura le permetteva infatti di “non lottare per essere bella e giovane”.
Il debutto come regista
Per vedere all’azione Varda dietro la macchina da presa si dovranno aspettare dodici anni; è il 1954 quando la promettente regista fonda (altra rarità per il periodo) una società di produzione, la Tamaris Films, realizzando così la sua prima Opera, intitolata “La Ponte Courte”. Si tratta di un film realizzato con un budget limitato e sostenuto esclusivamente dal grande talento dell’artista. Non a caso la pellicola si rivela un istant cult, precedendo di alcuni anni le caratteristiche tipiche della Nouvelle Vague, corrente che mirava a rappresentare sul grande schermo lo “splendore del vero”, eliminando ogni possibile artificio per raccontare storie autentiche e credibili.
Varda aveva capito la sua strada: portare in sala vicende femminili, con l’obiettivo di svelarne i lati più complessi. Parallelamente la cineasta svolgeva battaglie per garantire posti di lavoro riservati alle donne anche in ruoli teoricamente pensati per gli uomini (macchinisti, scenografi, operatori). In poco tempo, Agnès entra nell’Olimpo del cinema europeo grazie all’ottimo successo di due dei suoi film più famosi: “Cleo dalle 5 alle 7”- curiosa storia che racconta le due ore di attesa di una cantante mentre aspetta un responso di un esame medico – e “Il verde prato dell’amore”, con cui vince l’Orso d’Argento al Festival del cinema di Berlino.
L’unione con il movimento femminista
Nel 1971, nel pieno del suo splendore professionale, la regista firma il manifesto 343, dichiarazione pubblicata il 5 aprile nella rivista Nouvel Observateur in cui 343 donne ammettevano di aver avuto almeno una volta un aborto, all’epoca illegale. Un’esposizione molto pericolosa in quanto poteva comportare possibili conseguenze legali. Fu un fatto storico, supportato soprattutto dal contributo di Varda che, grazie alle sue dichiarazioni, divenne un vero e proprio punto di riferimento di tutto il movimento, entrando ancor di più nel mito.
Anche per questo motivo in tempi più recenti, nel 2017, la regista ha ricevuto durante l’Academy Awards il primo Oscar onorario mai consegnato ad una regista donna. Un riconoscimento che si aggiunge anche ad altri premi prestigiosi conquistati in precedenza, come il Leone D’Oro vinto nel 1985 grazie a “Senza tetto né legge (Sans toit ni loi)”.
Tra amore ed eccentricità
Ma ci sono anche altri aspetti per cui la regista è ancora oggi ricordata con affetto. Come non dimenticare per esempio la conturbante storia d’amore avuta con Jacques Demy? I due si sposarono nel 1962, ma il rapporto si interruppe nel 1990 con la morte prematura di lui. Un avvenimento molto complicato da gestire per Agnès, la quale gli dedicò ben tre film, tra cui si ricorda “Jacquot de Nantes”.
Molto amato anche il suo lato più eccentrico, testimoniato soprattutto dal suo amore incondizionato per i colori. In tal senso è nota l’estetica della sua casa, situata nel quattordicesimo arrondissement di Parigi, decorata con un arcobaleno e interamente dipinta da rosa. Un luogo simbolo, ricordato ancora oggi a sei anni dalla sua morte, avvenuta nel 2019 all’età di novant’anni a causa di un cancro. Adesso Agnès riposa proprio a fianco al marito Jacques, con la consapevolezza di essere riuscita a cambiare, almeno in parte, il mondo.
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