Una creazione entrata nella storia: sono passati dieci anni dal lancio del cappotto Teddy Bear Coat di Max Mara, capospalla in perfetto equilibrio tra praticità e glamour capace di resistere nel tempo, rimanendo costantemente nelle tendenze moda di stagione tramandandosi così di generazione in generazione; merito di un’eleganza naturale unita alla nostalgia del mondo ludico.
La geniale intuizione di Ian Griffiths
Nasce nel 2013, anno in cui l’attuale Direttore Creativo Max Mara, Ian Griffiths progetta l’iconico modello, prendendo ispirazione dall’immenso archivio della maison. In particolare, il designer, rimane colpito da una foto ritraente un collaboratore del fondatore Achille Maramotti, con indosso un cappotto che richiama lo stile militare. Proprio dall’analisi del pezzo, risalente agli anni Cinquanta e dunque con la classica superficie a pelo lungo supportato da una base più rigida, lo stilista disegna il primo bozzetto di quello che sarà poi il Teddy.
Griffiths cercò di portare nella contemporaneità quel tipo di esuberanza notata nel modello vintage, pensando dunque ad un capo in grado di apparire sì divertente, ma al contempo caldo e confortevole: l’ispirazione ludica fu invece dettata dall’attualità. Nel 2013 comincia a prendere sempre più piede un certo interesse della moda verso il mondo dell’infanzia, con tanti riferimenti ai giocattoli riproposti in look e outfit: sarà l’unione tra i due mondi a dare vita al Teddy.
Un successo non immediato
Tuttavia il riscontro degli acquirenti fu tutt’altro che fulmineo: il cappotto infatti si presentò al pubblico per la prima volta nel 2013, ma con un tipo di volume “alieno” per l’epoca. Nella sua reinterpretazione modello anni Cinquanta il Direttore Creativo pensò infatti ad una silhouette oversize innovativa, capace di non ripiegarsi su se stessa, mantenendo dunque la sua forma anche indossato. Un risultato ottenibile grazie alla lavorazione (sulla base color alpaca) di seta, jersey e di una fibra resa ancora più voluminosa con il getto d’aria calda: da qui l’applicazione del pelo, poi tagliato fino a raggiungere la lunghezza di cinque centimetri.
Dopo un’accoglienza piuttosto fredda, dettata appunto dalla natura particolare del modello, il cappotto Max Mara comincia ad ottenere un successo sempre più grande, diventando uno degli abiti più replicati in assoluto non solo dai competitors, ma anche dall’industria del fast fashion. La prima a sfoggiare davanti ai fotografi il cappotto è Carine Roitfeld, fashion icon che il giorno dopo il suo debutto alla Milano Fashion Week cattura l’attenzione scaldandosi con il cappotto morbido, caldo e voluminoso di Max Mara, facendo il giro di tutti i magazine di moda mondiali.
Le ragioni del successo
Ma quali sono le ragioni che hanno consentito alla creazione di entrare nella storia? L’elemento più apprezzato del cappotto Max Mara è la sua versatilità: pur conservando grande allure, il soprabito si prende gioco del dress code, adattandosi a contesti e abbinamenti diversi: il volume maxi consente di far brillare slip dress, tacchi alti e gonne ma, allo stesso tempo, anche di far risaltare look molto più casual completati con semplici jeans e sneakers.
Le sfaccettature proposte dal brand negli ultimi anni hanno aiutato il pezzo a rimanere sempre in auge. Pensiamo ad esempio ai modelli con il gilet, oppure con mantella e cappa. Variazioni sul tema che alimentano ancora oggi l’incredibile successo del Teddy Bear Coat, uno dei pochi capi d’abbigliamento talmente fluidi da esaltare perfettamente la personalità di chi lo indossa, portando dunque in dote anche una componente molto camaleontica, altro elemento chiave del successo.
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